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I diversi tipi di alberature – parte II

4 Aprile 2025

Il secondo articolo sull’argomento, estratto dal sito Ocean4Future a cura di Gian Carlo Poddighe.

Per soddisfare i requisiti di questi sensori, gli architetti navali sono ricorsi nel tempo a diverse soluzioni, soprattutto man mano che si studiavano opportunamente i problemi di vibrazioni, ben prima che sorgessero e si affrontassero i problemi di interferenza e/magnetica. Solo come riferimento, le scelte dei progettisti navali oscillarono negli anni tra:
– Alberi a palo o ad asta, eredi diretti dell’albero per i segnali.

Montecuccoli anni ’60 – Carabiniere al varo 1968 – Alpino primi anni ’70. La tendenza progettuale italiana fu per alberature a palo ma il numero, il peso e le mutate esigenze di antenne e sensori, con l’insorgere di fenomeni di vibrazioni, imposero da una parte delle modifiche in servizio (vedi la foto del Carabiniere F581 al varo e dell’Alpino F580 in servizio per evidenziare modifiche e rinforzi, foto autore) e dall’altra ricerca di nuove soluzioni che in campo nazionale ebbero un percorso lungo e travagliato

– Alberi a tripode, quadripode (sui tipi Impavido furono adottate ambedue le soluzioni) o pentapode.
– Alberi a traliccio (compresa la variante a “cestino” antesignana ai sensori elettronici e studiata per raggiungere altezze maggiori e dare stabilita a stazioni di vedetta e sistemi ottici).
– Alberi misti, (MACK = Mast-Stack) validi come struttura di scarico dei gas di combustione e
come supporto antenne di peso e dimensioni notevoli.

I MACKs erano una soluzione molto limitata per la deviazione degli scarichi e di maggiore efficacia per creare più superfici di appoggio, soprattutto più stabili con maggiori opportunità di sistemazione ma rimaneva insoluto il problema della proliferazione di antenne e sensori e la diffusione/saturazione di locali in diverse zone della nave con problemi di cablaggio e tempi di allestimento
– Alberi carenati.
– Alberi strutturali.

Un richiamo certamente sommario come elenco, considerando che esiste una infinità di interpretazioni e varianti sul tema. La soluzione a tripode fu probabilmente la più diffusa nei primi decenni di sviluppo e crescita dei sensori elettronici. La Classe Arley Burke sarà probabilmente l’ultima ad essere dotata, in parte, di alberatura (a tripode) tradizionale, una soluzione ibrida, principalmente con il radar SPY-1D incorporato nel blocco plancia, con installazione tradizionale di alcuni dei sensori e relativi apparati, posizionamento di sistemi e relativi cablaggi diffusi su tutta la piattaforma e pertanto maggiori complessità (tempi e costi) sia in fase di allestimento che di refitting.

La Classe Arley Burke sarà probabilmente l’ultima ad essere dotata, in parte, di alberatura (a tripode) tradizionale, una soluzione ibrida, principalmente con il radar SPY -1D incorporato nel blocco plancia, con installazione tradizionale di alcuni dei sensori e relativi apparati, posizionamento di sistemi e relativi cablaggi diffusi su tutta la piattaforma e pertanto maggiori complessità (tempi e costi) sia in fase di allestimento che di refitting.

Tra la vasta gamma di soluzioni sopra tratteggiata, nelle costruzioni più recenti ci si è maggiormente orientati verso alberi strutturali, anche nel caso di peso maggiore di quelli a traliccio, preferiti nella maggior parte dei casi per i loro vantaggi di minor segnatura radar, maggior durata (anche degli accessori e condotte grazie alla struttura protetta), minori vibrazioni e possibilità di supportare il peso crescente di antenne ed accessori.

La complicata e parziale soluzione adottata nel corso del refitting della HMAS Perth non ha risolto molti dei problemi citati. Notare l’annerimento dell’area intorno ai radar sull’albero dovuto ai fumi di scarico (Foto RAN)

La progettazione dell’albero, tuttavia, non si limita al solo posizionamento dei sensori, considerando che qualsiasi spostamento in alto dei pesi è l’incubo dei progettisti navali. La collocazione la conformazione dell’albero è condizionante per la stessa progettazione generale della nave, soprattutto perché il suo peso e la sua forma influiscono sulla stabilità ed i movimenti dello scafo, la resistenza aerodinamica sulla velocità, mentre la disposizione delle antenne perturberà l’ambiente elettromagnetico e si dovranno nel possibile limitare i pericoli da radiazioni (RADHAZ). Nel corso della progettazione iniziale è necessario integrare strutturalmente l’albero allo scafo per garantire la distribuzione dei carichi sia statici che dinamici (tra cui, e non solo, effetto frusta per l’impatto dello scafo sulle onde secondo diverse angolazioni, sforzi di inerzia, resistenza all’aria non solo per velocità ma soprattutto per eventi atmosferici, possibili impatti), assicurare un opportuno accesso alle varie componenti e sistemazioni, alimentazione di energia e segnali, ventilazione e più (condizionamento ed eventuale pressurizzazione), evitare fenomeni di ionizzazione dovuti agli scarichi dell’ apparato motore e tentare di controllare/deviare i flussi di tali scarichi, evitando tra l’altro che investano direttamente e stabilmente le antenne. Un grande passo in avanti avvenne a partire dagli anni ‘60 con il ricorso a sofisticati modelli dielettrici delle unità per la valutazione di interferenze e segnatura con prove di diverse configurazioni in laboratori attrezzati nonché alle prove (e progettazione finale) dell’opera morta in galleria del vento per valutare resistenza ed emissioni degli scarichi. Le prime esperienze al riguardo si ebbero in Italia attraverso la collaborazione tra MARIPERMAN ed il Politecnico di Torino per la progettazione del Vittorio Veneto (interventi parziali, ma estremamente significativi in corso d’ opera) di Carabiniere/Alpino, di Audace/Ardito, che furono le prime unità totalmente progettate (ab initio) secondo nuovi criteri, mentre la Marina si dotava di una propria galleria del vento per raggiungere la piena autonomia nel settore.

Il modello dielettrico del CT ARDITO realizzato per le prove in occasione del refitting degli anni 80 (Foto autore)

Atipico e significativo fu l’intervento in corso d’ opera che portò alla radicale modifica delle sovrastrutture della classe Lupo, unità nate e inizialmente proposte secondo una particolare e discutibile teoria operativa dei cantieri e faticosamente evolute come fregate polivalenti, intervento che culminò con l’istallazione di un secondo albero in occasione dei lavori di fine garanzia delle prime due unità consegnate.

Un’evoluzione travagliata, con risultati finali comunque soddisfacenti nell’ integrazioni dei sensori che ebbe come prova un corollario anni dopo, in occasione del refitting di unita costruite per una marina straniera: la scelta di apparati, peraltro singolarmente di elevate prestazioni, senza una logica né di integrazione di sistema né di prove preventive di compatibilità, portò a risultati disastrosi, con enormi ritardi nell’ approntamento, con apparati che non potevano operare simultaneamente e pertanto riduzione di capacità operative (Foto della classe Lupo autore/USMM).

Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

Fine II parte – continua

PARTE I PARTE II PARTE III PARTE IV

gian carlo poddighe

Giancarlo Poddighe

Ufficiale del Genio Navale della Marina Militare Italiana in congedo, nei suoi anni di servizio è stato destinato a bordo di unità di superficie, con diversi tipi di apparato motore, Diesel, Vapore, TAG. Transitato all’industria nazionale ha svolto incarichi di responsabilità per le costruzioni della prima legge navale diventando promotore delle Mostre Navali Italiane. Ha occupato posizioni dirigenziali sia nel settore impiantistico che delle grandi opere e dell’industria automobilistica, occupandosi della diversificazione produttiva e dei progetti di decarbonizzazione, con il passaggio alle motorizzazioni GNV.
E’ stato membro dei CdA di alcune importanti JV internazionali nei settori metallurgico, infrastrutturale ed automotive ed è stato chiamato a far parte di commissioni specialistiche da parte di organismi internazionali, tra cui rilevanti quelle in materia di disaster management. Giornalista iscritto all’OdG nazionale dal 1982, ha collaborato con periodici e quotidiani, ed è stato direttore responsabile di quotidiani ricoprendo incarichi di vertice in società editoriali. Membro di alcuni Think Tank geopolitici, collabora con quotidiani soprattutto per corrispondenze all’estero, pubblica on line su testate del settore marittimo e navale italiane ed internazionali. Non ultimo ha pubblicato una serie di pregevoli saggi sull’evoluzione tecnologica e militare sino alla 2^ Guerra Mondiale, in particolare della Regia Marina, pubblicati da Academia.edu.

independent.academia.edu/

FONTE: Ocean4Future

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