La storia dell’incrociatore affondato solo 4 giorni dopo aver scaricato l’uranio arrichito che poi sarà sganciato su Hiroshima. Quasi tutto l’equipaggio morì dopo giorni in balia del mare, perché nessuno li soccorse. Una vicenda coperta d’ignominia: il comandante si suicidò nel 1969, venne scagionato solo nel 2000
A 72 anni dal suo affondamento ad opera di un sottomarino giapponese, è stato trovato il relitto di una nave da guerra Usa, la cui importanza è stata a lungo ignota ai più. L’incrociatore pesante Uss Indianapolis ha trasportato – in assoluta segretezza e senza alcuna nave da scorta, condannando alla morte quasi tutto l’equipaggio – le parti più importanti della prima bomba atomica, ‘Little Boy’, sganciata il 6 agosto del 1945 su Hiroshima.
Il relitto è stato rinvenuto alla profondità di 5.500 metri nel Mare delle Filippine secondo quanto ha riferito il co-fondatore di Microsoft e appassionato cacciatore di relitti, Paul Allen.
La storia dell’Indianapolis, raccontata in un recente film con Nicolas Cage, è stata a lungo taciuta come una vergogna per la Us Navy. La sua missione era così segreta che quando il 30 luglio del 1945 – 4 giorni dopo aver scaricato il prezioso carico (l’uranio arricchito e le componenti dell’ordigno) sull’isola filippina di Tinian – venne affondata da 2 siluri non potè neanche lanciare l’allarme. Non solo. Essendo la sua missione conosciuta solo ai vertici della Marina Usa e sapendo che la nave non poteva rompere il silenzio radio per giorni nessuno la cercò ed i soccorsi arrivarono tardi per la maggioranza dei marinai sopravvissuiti all’affondamento perchè la sua posizione era ignota.
L’Indianapolis, costruita nel 1929 era lunga 186 metri ed aveva 9 cannoni da 200 mm. La nave, non modernissima nel 1945, affondò in soli 12 minuti e l’equipaggio non riuscì neanche a calare in acqua le scialuppe di salvataggio. Dei 1.196 marinai a bordo ben 900 sopravvissero all’affondamento ma destinati, la maggioranza, ad una fine atroce: divorati dagli squali o morti di stenti.
Alla fine solo 316 sopravvissero e di questi 22 sono ancora vivi. L’incrociatore conserva ancora il triste record della maggior perdita di vite umane per una singola nave in mare.
Il comandante, il capitano di vascello Charlie B. McWay III sopravvisse all’affondamento ma subì la corte marziale per non aver “zizagato” rendendo, secondo i suoi colleghi giudici, la nave un facile bersaglio, versione smentita dallo stesso comandante del sommergibile nipponico I-58 che l’affondò.
Venne riconosciuto colpevole di condotta pericolosa ma il comandante della Marina, l’ammiraglio Chester Nimitz lo reintegrò. Finì la sua carriera 4 anni dopo con il grado di contrammiraglio (1 stella) e nel 1969 si suicido per le pressioni e le accuse dei parenti dei marinai deceduti.
Solo nel 2000 il Congresso degli Stati Uniti approvò una risoluzione che scagionò McWay, l’unico comandante della Us Navy finito di fronte alla corte marziale per aver perso la sua nave.