Da “Il museo del mare di Tortona” lo spunto per una vicenda oramai dimenticata e conosciuta da pochi che vale la pena ricordare
Per il trasporto delle banane disponevano di quattro celle frigorifere (isolate con sughero granulato) della capacità di 2872 metri cubi, con due gruppi refrigeratori ad anidride carbonica (alimentati da quattro compressori e prodotti dalla ditta J. & E. Hall Ld. di Dartford).
Le stive erano tre, con una portata lorda di 3118 tpl* ed una netta di 1950 **tpn.
Le loro non grandi dimensioni consentivano sia di limitare i costi di pedaggio per l’attraversamento del Canale di Suez (essendo questi calcolati sulla base del tonnellaggio delle navi che lo attraversavano), sia di massimizzare il coefficiente di carico.
La velocità, che oscillava tra i 15,5 ed i 16,5 nodi, era relativamente elevata per delle navi da carico, al fine di minimizzare i tempi della traversata e preservare così la freschezza del carico di banane: Capitano Bottego e gemelle risultarono le più veloci navi in servizio sulla rotta tra l’Italia e la Somalia, che percorrevano in dodici giorni, poco più della metà del tempo impiegato dai piroscafi postali della società Tirrenia.
Oltre alle stive per le banane ed altre merci, la Capitano Bottego e le gemelle erano provviste anche di alcune cabine nelle quali potevano trovare posto fino a dodici passeggeri (erano destinate ai concessionari dei terreni somali in cui erano coltivate le banane).
L’apparato propulsivo era costituito da due motori diesel a 6 cilindri da 2550 cavalli, su due eliche, che consentivano una velocità di crociera di 15 nodi ed una massima di 16,5.
*TPL tonnellate di portata lorda: tutto il carico mobile (quindi il peso massimo) che una nave può trasportare
**TPN tonnellate di portata netta: insieme di pesi paganti(merci e passeggeri) che una nave può imbarcare
La R.A.M.B. edificò depositi nelle principali città italiane e, per il trasporto delle banane, si avvalse all’inizio delle navi frigorifero già esistenti ed in seguito, dal 1937, face costruire 4 nuove e moderne bananiere, battezzate dall’acronimo della azienda: RAMB I, RAMB II, RAMB III, RAMB IV, che dovevano avere un’autonomia sufficiente per la rotta Mogadiscio-Napoli senza soste intermedie.
Di queste, due vennero costruite dal Cantiere Ansaldo di Sestri Ponente (le Ramb I e III) e due dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico, negli stabilimenti di Monfalcone (le Ramb II e IV).
L’equipaggio contava 120 uomini.
Le misure differivano leggermente:
Lunghezza 122,00 m (per I e III) e 116,78 m (per II e IV)
Larghezza 14,60 m (per I e III) e 15,20 m (per II e IV)
Il pescaggio era, per tutte di 7,77 m.
Stazza lorda 3667 t I, 3685 t II, 3660 t III e 3676 t IV
L’apparato propulsivo era costituito da due motori diesel FIAT di potenza compresa, a seconda delle fonti, tra i 6800 ed i 7200 CV, che azionavano due eliche permettendo una discreta velocità di crociera di 17-18 nodi ed una massima di 19,5. Avevano una scorta di 1250 tonnellate di nafta.
[Nella fotografia, il varo della RAMB I]
[Nella foto la RAMB III mentre sta scaricando alla banchina di ponente della stazione marittima di Venezia]
I materiali per la militarizzazione delle navi furono posti in deposito a Massaua per due unità ed a Napoli per le altre due
La nave aveva un ponte principale, un ponte di sovrastruttura completa con castello e tughe a centro nave, un cassero di 16,33 metri a prua ed una tughetta a poppa.
Il profilo dell’unità era caratterizzato da due alberi da carico (uno a prua ed uno a poppa) e da un fumaiolo a centro nave
Delle tre motonavi della serie “Duca degli Abruzzi”, soltanto la Capitano Cecchi si trovava in Mediterraneo allo scoppio delle ostilità: la terza unità, la Duca degli Abruzzi, era infatti anch’essa in Africa Orientale. Insieme ad esse rimasero bloccate in Africa Orientale anche tre delle quattro RAMB: la RAMB I, la RAMB II e la RAMB IV, tutte intrappolate a Massaua come anche la Capitano Bottego.
La conversione ad incrociatore ausiliario non poté avere luogo per tutte, dal momento che quando la dichiarazione di guerra che le sorprese a Massaua, vi era materiale sufficiente soltanto alla conversione di due unità e venne impiegato per trasformare la RAMB I e la RAMB II.
Dopo un lunghissimo tempo passato in porto, tra la fine di febbraio e la fine di marzo 1941, quando la Somalia stava per cadere, le poche navi che avevano scafi e macchine in buone condizioni, velocità non troppo bassa ed autonomia sufficiente lasciarono Massaua per tentare di raggiungere porti amici o benevolmente neutrali in Francia (per i sommergibili) ed in Giappone (per le navi di superficie).
Le uniche bananiere ritenute in grado di affrontare la traversata con qualche probabilità di successo erano le RAMB I, la RAMB II (entrambe requisite dalla Regia Marina e trasformate in incrociatori ausiliari e la RAMB IV che nel frattempo era divenuta una nave ospedale).
[Nell’immagine la Capitano Cecchi
Romolo Gessi (già Alberto Treves), Tripolitania, Vesuvio, Urania, XXIII Marzo) e sei tedesche (Gera, Frauenfels, Liebenfels, Crefeld, Lichtenfels ed Oliva)
Con l’approssimarsi delle truppe inglesi, il Comandante di Marisupao, Ammiraglio Bonetti, dispose che alcune unità si spostassero nel grande golfo interno di Dahlak
Kebir per autoaffondarsi, affidando ad altre il compito di autoaffondarsi in posizioni tali da rendere impossibile l’accesso alle installazioni portuali di Massaua.
Il “suicidio” collettivo iniziò già il 3 aprile 1941, ma non vi è certezza della sorte di molte unità né di dove giacciono eventualmente i loro relitti.
La decisione di procedere all’autoaffondamento creò una sorta di cimitero di navi, uno a Massaua e l’altro nel grande golfo interno di Dahlak Kebir.
Delle navi militari la torpediniera Orsini, al comando del Tenente di Vascello Giulio Valente, prima di autoaffondarsi concorse alla difesa del porto.
Al sopraggiungere delle prime colonne blindate britanniche, aprì subito il fuoco con i suoi pezzi da 102/45 e 40/39, rallentando la marcia delle truppe britanniche nei pressi di Embereni, poi, esaurite tutte le munizioni, nella tarda mattinata dell’8 aprile il Comandante Valente decise l’autoaffondamento, aprendo le valvole Kingston e rompendo alcuni tubi di macchina. Fu escluso l’impiego di ordigni esplosivi data la vicinanza della nave ospedale RAMB IV e dell’ospedale a terra.
Allo scoppio delle ostilità, la nave fu trasformata in incrociatore ausiliario con gli armamenti presenti nel porto di Massaua.
La Ramb I limitò la propria attività bellica come “nave corsara” ad una singola ed infruttuosa incursione in Mar Rosso nell’agosto 1940 alla ricerca di naviglio mercantile nemico, missione che fu interrotta proprio perché non risultò possibile trovare navi da attaccare.
RAMB II
Come la RAMB I, la RAMB II all’inizio della guerra fu trasformata in incrociatore ausiliario installandovi l’armamento ad essa riservato.
Anche per la RAMB II gli ordini furono di cercare rifugio in Giappone.
Salpò da Massaua il 22 febbraio, al comando del capitano di corvetta di complemento Pasquale Mazzella, anch’essa con destinazione Nagasaki.
Venne superato dapprima lo stretto di Perim, eludendo la sorveglianza operata dalla Royal Navy e dalla Royal Air Force, quindi lo stretto di Bab el-Mandeb e il golfo di Aden, per poi passare tra Capo Guardafui e Ras Hafun ed entrare così nell’Oceano Indiano.
Opportunamente camuffata, non ebbe particolari problemi, al di là di alcuni sporadici avvistamenti, rapidamente elusi. Nei primi giorni di marzo la RAMB II transitò a sud delle Maldive, continuando a procedere verso sudest, mentre tra il 10 ed il 15 del mese transitò nelle acque dell’Indonesia, dapprima passando a nordovest di Timor, quindi puntando verso nord e passando nello stretto delle Molucche, per poi fare rotta verso nordest, in direzione del Giappone.
Il 18 marzo, venne ricevuto un dispaccio radio il quale avvertiva che il Giappone, essendo ancora neutrale, non poteva consentire l’ingresso nei propri porti di navi da guerra appartenenti a Stati belligeranti. In considerazione di tale informazioni, i cannoni e mitragliere vennero rimossi e nascosti nelle stive, mentre le loro piazzole vennero occultate. La nave, avendo così perso le “stellette”, venne ribattezzata Calitea II. Il 21 marzo venne ricevuto un nuovo ordine che mutava la destinazione in Kobe che veniva raggiunta il 23 marzo 1941.
Nel maggio 1941 la nave venne data in gestione alle Linee Triestine per l’Oriente, con sede a Trieste e successivamente la motonave si trasferì a Tientsin, dove si trovava nel settembre 1941. A partire dal dicembre 1941 la Calitea II, mantenendo equipaggio italiano, riprese il mare noleggiata dal Governo giapponese, trasportando munizioni ed altri carichi d’interesse bellico a Bali, Giava e Sumatra. A fine agosto 1942 venne inviata per lavori di riparazione a Kobe.
Alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, la Calitea II si trovava ancora ai lavori a Kobe e,come da ordini ricevuti, venne autoaffondata dal suo equipaggio la mattina del 9 settembre.
Poche settimane dopo l’autoaffondamento la Calitea II venne riportata a galla dai giapponesi ed utilizzata come trasporto ausiliario (specialmente per viveri) e venne ribattezzata Ikutagawa Maru il 3 ottobre 1943.
Il 24 dicembre 1943, terminati i lavori di riparazione la motonave prese il mare alla volta di Sasebo, ed il 1 gennaio 1944 venne assegnata alla Flotta Combinata ed aggregata alla Flotta dell’area sudoccidentale (Nansei Hōmen Kantai) svolgendo, per tutto l’anno, intensa attività nei mari delle Indie Orientali e sfuggendo agli attacchi dei sottomarini americani
Il 12 gennaio 1945 la Task Force 38 della US Navy lanciò l’operazione «Gratitude»: velivoli statunitensi attaccarono naviglio aeroporti ed installazioni terrestri giapponesi nell’Indocina sudorientale. L’Ikutagawa Maru, ormeggiata a Saigon, venne colpita durante una delle incursioni aeree statunitensi ed affondò.
RAMB IV
A differenza delle Ramb I ed II, convertite in incrociatori ausiliari, la Ramb IV rimase inattiva per alcuni mesi nel porto di Massaua, disarmata ed utilizzata come nave alloggio.
In previsione della futura ed inevitabile caduta dell’Africa Orientale Italiana, negli ultimi giorni del dicembre 1940, la Regia Marina decise di trasformare la Ramb IV in una nave ospedale, per poter salvare e ricondurre in patria almeno parte dei feriti e malati gravi e del personale sanitario presente nell’A.O.I.
Ridipinta pertanto secondo le norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra per le navi ospedale (scafo e sovrastrutture bianche, fascia verde interrotta da croci rosse sullo scafo e croci rosse sui fumaioli), la nave, dotata di attrezzature sanitarie e personale medico reperibili in Africa Orientale, venne requisita ed iscritta nel ruolo del Naviglio ausiliario dello Stato il 7 febbraio 1941. Dotata di 272 posti letto, la RAMB IV nei primi mesi del 1941 stazionò a Massaua come ospedale galleggiante.
L’8 aprile 1941, subito prima della caduta della città ormai assediata dalle truppe britanniche, la Ramb IV lasciò quel porto diretta verso nord, progettando di chiedere ed ottenere il permesso di transitare per il canale di Suez, onde poter raggiungere l’Italia ove portare gli oltre duecento infermi, tra feriti e malati, imbarcati.
Essendo la nave regolarmente denunciata e registrata presso le autorità di Ginevra, ed essendo stati stabiliti dai trattati internazionali, sin dal 1869, la neutralità ed il diritto di transitare nel canale di Suez sia in tempo di pace che di guerra, il progetto era teoricamente realizzabile, ma in realtà il Regno Unito aveva affermato, sin dalla prima guerra mondiale, che solo le proprie autorità avevano il diritto di consentire o vietare il transito tra Suez e Porto Said. Qualora gli inglesi non avessero accordato il permesso di passare per il canale, era stato deciso che la Ramb IV si sarebbe diretta nello Yemen o nell’Arabia Saudita, nazioni neutrali, per farvisi internare.
In realtà gli inglesi non si limitarono a negare il passaggio, ma inviarono il cacciatorpediniere Kingston ad intercettare la nave ospedale, che fu abbordata e catturata al largo di Aden la sera dell’ 8 aprile.
L’unità fu ricondotta a Massaua, ormai in mano britannica. Le autorità britanniche decisero di incorporare la nave nella Royal Navy, continuando ad impiegarla come nave ospedale nel Mar Rosso e, dai primi mesi del 1942, nel Mediterraneo orientale, dove operò lungo le coste della Libia e dell’Egitto.
Nel primo mattino del 10 maggio 1942, in buone condizioni di visibilità, la nave ospedale venne attaccata al largo di Alessandria d’Egitto, dove era quasi giunta proveniente da Tobruk con a bordo 95 uomini di equipaggio e 269 infermi imbarcati nella città libica, da bombardieri Junkers Ju 88 della Luftwaffe, che la colpirono con alcune bombe, incendiandola.
Morirono 165 uomini e 155 furono i feriti.
Divorata dalle fiamme, la RAMB IV, dopo alcuni tentativi di vincerle anche grazie all’equipaggio del cacciatorpediniere HMS Kipling, inviato in aiuto da Alessandria insieme all’Harrow e all’Hasty, dovette infine essere abbandonata e finita a cannonate dall’Hasty.
RAMB III
Ho scelto di tenere per ultima la vicenda della RAMB III poiché dopo varie vicissitudini. cambi di bandiera e un affondamento, fu l’unica delle quattro RAMB a sopravvivere sino ai giorni nostri.
[ RAMB III nel porto di Ancona]
Il giorno seguente la dichiarazione di guerra, la RAMB III venne requisita a Genova dalla Regia Marina,
Iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato e trasformata in incrociatore ausiliario con l’imbarco dell’armamento composto da quattro cannoni da 120/45 mm e due mitragliere da 13,2 mm. In seguito vennero aggiunti anche scarica-bombe per bombe di profondità.
Dal 19 giugno 1940 la nave venne assegnata alle scorte dei convogli tra Italia e Libia e poi a quelli verso Grecia ed Albania.
Nella notte dell’11 novembre 1940 la RAMB III, al comando del capitano di fregata richiamato Francesco De Angelini, era in mare quale scorta, con la torpediniera Nicola Fabrizi, ad un convoglio di quattro mercantili (piroscafi da carico Premuda, Capo Vado ed Antonio Locatelli, motonave passeggeri Catalani).
Alle 1,15 del 12 novembre il convoglio fu avvistato dalla 7ª Divisione incrociatori britannica (incrociatori leggeri Orion, Ajax e Sydney e cacciatorpediniere Nubian e Mohawk), inviata nel canale d’Otranto per attaccare convogli italiani.
Ne scaturì uno scontro nel quale tutti e quattro i trasporti furono affondati od incendiati; la RAMB III sparò 17 salve con i propri quattro cannoni da 120 mm, per poi ritirarsi e lasciare il luogo dello scontro.
La nave non serviva solo come scorta: alle sue regolari soste di manutenzione in diversi porti, contribuiva alla difesa dei porti come parte delle forze antiaeree e ai membri del suo equipaggio, in particolare agli ufficiali, venivano assegnati importanti premi e medaglie.
Dopo che il Corpo d’Africa tedesco conquistò la Cirenaica, la RAMB III fu la prima nave a salpare a Bengasi.
Alle 19,30 venne colpita da un siluro lanciato dal sommergibile britannico Triumph.
Fino a quel momento la RAMB III aveva preso parte a 86 missioni militari, prima sulle rotte tra Brindisi e l’Albania, e poi tra Napoli e Tripoli o Bengasi.
Il siluro danneggiò gravemente la prua, ma, grazie alla tenuta stagna delle stive frigorifere, la nave non affondò.
Appruata, si posò soltanto sul fondale del porto.
Non essendo possibile eseguire i necessari lavori di riparazione con i mezzi a disposizione in loco, venne presa la decisione di asportare l’intera parte prodiera, gravemente lesionata ed allagata.
L’incrociatore ausiliario venne zavorrato in modo da ovviare all’appruamento e ripristinare l’assetto longitudinale e trasversale. Venne presa la decisione di affrontare la navigazione verso l’Italia a marcia indietro, con l’ausilio del traino da parte un rimorchiatore. A tale scopo, sono state necessarie diverse altre regolazioni: il timone della nave fu stato fissato al suo centro, la lubrificazione delle parti rotanti venne regolata per adattarsi alla nuova direzione di movimento e un paio di timoni aggiuntivi furono aggiunti ai lati della nave, in caso di emergenza.
I timoni erano in realtà grandi pezzi di lamiera che potevano essere abbassati nel caso in cui il l’assetto della nave dovesse essere regolato.
In queste circostanze, la nave navigò navigato sul Mediterraneo attraversando più di 900 miglia nautiche utilizzando solo il proprio motore.
L’uso di rimorchiatori sarebbe stato richiesto solo in casi di massima emergenza.
Fece rotta per Brindisi, ove arrivò il 25 agosto e successivamente, per Trieste, ove giunse il 20 settembre 1941. Qui venne sottoposta ai lavori di riparazione e ricostruzione della parte prodiera.
La costruzione della nuova prua durò fino al gennaio 1943, quando entrambe le parti della nave furono portate in un bacino di carenaggio e attaccate l’una all’altra.
La ricostruzione fu completata il 23 luglio 1943.
Durante il tentativo di uscire da porto per consegnarsi agli Alleati, fu abbordata e catturata da marinai tedeschi.
Incorporata nella Kriegsmarine come trasporto e ribattezzata Kiebitz (Pavoncella), partecipò il 13 novembre 1943 all’operazione «Herbstgewitter» (“Tempesta d’autunno”), che prevedeva una serie di operazioni anfibie per il recupero delle isole di Veglia, Cherso e Lussino, occupate dai partigiani iugoslavi.
Il 5 novembre 1944, nel corso di un bombardamento aereo statunitense su Fiume, venne la RAMB III, ora Kiebitz fu colpita da tre bombe sganciate da quadrimotori statunitensi.
[La RAMB III in affondamento a Fiume]
Inizialmente ribattezzata Mornar (Marinaio) venne usata come nave scuola per gli allievi ufficiali della Marina iugoslava.
Il nuovo armamento della nave fu su quattro cannoni da 88 mm ex tedeschi, 4 cannoni Bofors 40 mm, 6 impianti 20 mm Flakvierling anche questi di origine tedesca, due M2 Browning 12,7 mm ed un impianto antisommergibili. Alcune modifiche strutturali portarono ad una lunghezza fuori tutto di 117 metri con 5,6 metri di pescaggio medio.
Il Galeb, in veste di nave di rappresentanza presidenziale, fino alla morte di Tito, avvenuta nel 1980, effettuò 549 giorni di crociera, 308 dei quali con Tito a bordo, percorrendo 86.062 miglia, visitando 18 stati di tre continenti, Europa, Asia ed Africa ed ospitando 102 tra capi di stato e di governo. Tra gli uomini di stato ospiti a bordo Paolo I e Federica di Grecia, l’Imperatore d’Etiopia Haile Selassie, Re Hassan del Marocco, il presidente egiziano Nasser, il Primo Ministro indiano Nehru, il Presidente dell’Indonesia Sukarno, il Presidente del Ghana Nkrumah, il Presidente della Tunisia Bourguiba, Sirimavo Bandaranaike, (Primo Ministro di Ceylon e prima donna al mondo ad essere Primo Ministro), il Primo Ministro della Birmania U Nu, il Presidente della Guinea Sékou Touré, l’Arcivescovo di Cipro Makarios, il leader sovietico Khruščёv, il Presidente americano Kennedy, il leader cubano Fidel Castro.
Dopo la morte di Tito, la nave, effettuò l’ultimo viaggio in veste di yacht di stato nel 1989.
[in alto Josip Broz Tito e Jovanka Broz, sotto, l’ex RAMB III trasformata in panfilo presidenziale]
Alcuni anni dopo venne venduta ad un uomo di affari greco per un eventuale restauro che non venne realizzato, rimanendo così ad arrugginire ormeggiata in un porto nei pressi di Fiume
[Lo stato dei lavori di restauro al 13 ottobre 2021]