Ancora un bellissimo articolo di Storia della Seconda Guerra Mondiale dal sito Ocean4future
Alle 22:00, il 12 settembre 1942, l’U-156 era di pattuglia al largo della costa dell’Africa occidentale, a metà strada tra la Liberia e l’isola dell’Ascensione. L’ufficiale in comando del sommergibile, Korvettenkapitän Werner Hartenstein, individuò una grande nave isolata e la attaccò. Il Laconia rientrava nella categoria delle navi armate, come i mercantili e i trasporto truppe, che costituivano obiettivi legittimi per un attacco senza preavviso. L’attacco ebbe successo e la nave fu silurata e colpita a morte. Sebbene ci fossero scialuppe di salvataggio sufficienti per l’intero equipaggio della nave, compresi i prigionieri italiani, il pesante sbandamento impedì la messa a mare delle stesse ed i prigionieri furono abbandonati nelle stive chiuse mentre la nave affondava. Per fortuna la maggior parte riuscì a scappare abbattendo i portelli o arrampicandosi sui pozzi di ventilazione. Diversi furono però uccisi dai soldati di guardia polacchi che, non avendo munizioni, per impedirgli di salire sulle scialuppe li uccisero brutalmente con le baionette.
Dislocamento lordo di 19,860 tonnellate di stazza
Lunghezza – 183 metri (600 piedi)
Larghezza – 22,5 metri (74 piedi)
Numero di alberi – 2
Propulsione – due eliche
Motori – turbine a vapore, Wallsend Slipway Co Ltd
velocità – 16 nodi
Armamento: 8 cannoni da sei pollici e due da 3 pollici antiaerei
Costruttore – Swan, Hunter & Wigham Richardson Ltd, Wallsend on Tyne
Data del varo – 9 aprile 1921
affondata da sommergibile tedesco il 12 settembre 1942 a 130 miglia nautiche dall’Isola dell’Ascensione
L’affondamento
Quando furono messe a mare le ultime scialuppe di salvataggio, buona parte dei sopravvissuti era già in mare. Sebbene vi fosse spazio per tutti a bordo delle scialuppe, nell’inchiesta fu riportato che i naufraghi italiani in acqua vennero feriti dagli Inglesi e dai Polacchi a colpi di ascia per impedirgli di salire a bordo. Il sangue attirò inevitabilmente gli squali. Hughes Russell nel libro “The Laconia Incident: How Friendly Fire Changed POW Treatment for the Rest of the War” riportò una dichiarazione di un sopravvissuto italiano, il caporale Dino Monte: “… gli squali saettarono tra di noi. Afferrando un braccio, mordendo una gamba. Altri più grandi inghiottirono interi corpi“.
Il sommergibile tedesco U 156 emerse per catturare gli alti ufficiali sopravvissuti della nave e vide più di 2.000 persone che lottavano contro la morte fra i flutti. Il comandante del sommergibile U-156, Kapitänleutnant Werner Hartenstein, si rese subito conto che erano principalmente prigionieri di guerra e civili ed avviò subito le operazioni di soccorso, ponendo sullo scafo i panni bianchi della Croce Rossa.
Kapitänleutnant Werner Hartenstein, comandante del U-156
Poco più di un’ora dopo l’attacco (23:23), il Laconia, ferito a morte, affondò. Secondo Duffy [1], poco dopo l’una di notte del 13 settembre, il comandante tedesco inviò un messaggio radio in codice al Befehlshaber der U-Boote (comando sommergibili), comunicando l’affondamento del Laconia, presumibilmente con circa 1500 prigionieri italiani a bordo, di cui solo 90 erano al momento stati ripescati. L’ammiraglio Karl Dönitz, ordinò immediatamente a sette sottomarini del gruppo Eisbär di dirigersi sulla posizione dell’affondamento per soccorrere i sopravvissuti. Nello stesso tempo avvisò Berlino della situazione e delle azioni che aveva intrapreso. Questo fece imbestialire Hitler che ordinò all’ammiraglio Erich Raeder di ordinare a Dönitz di disimpegnarsi e tornare al piano di dislocamento originario. Raeder ordinò quindi all’U-506, comandato dal Kapitänleutnant Erich Würdemann, all’U-507, al comando del Korvettenkapitän Harro Schacht, ed al sommergibile italiano Comandante Cappellini di intercettare l’U-156, recuperare i sopravvissuti e dirigersi poi sul luogo dell’affondamento per recuperare altri naufraghi. Inoltre, richiese alle unità militari francesi (fedeli alla Francia di Vichy) dislocate in Dakar e in Costa d’Avorio, di dirigersi in zona per contribuire alle operazioni di salvataggio. I Francesi inviarono da Dakar l’incrociatore Gloire da 7.600 tonnellate e due sloop, l’Annamite da 660 tonnellate da Conakry, Guinea francese, e il Dumont-d’Urville da 2.000 tonnellate da Cotonou, Dahomey.
Come da ordini, Dönitz disimpegnò i sommergibili ma sostituì l’U-159 del Kapitänleutnant Helmut Witte con l’U-156. Inoltre, ordinò che, prudenzialmente, tutti i battelli recuperassero un numero di naufraghi non maggiore di quello da impedire l’operabilità del sommergibile.
L’U-156 raccolse quasi 200 sopravvissuti, tra cui cinque donne, e ne ebbe altri 200 al seguito a bordo di quattro scialuppe di salvataggio. Alle sei del mattino del 13 settembre, Hartenstein invio un messaggio in inglese a tutte le navi nell’area, fornendo la sua posizione, richiedendo assistenza per i soccorsi e promettendo di non attaccare. La base inglese di Freetown intercettò il messaggio ma non lo considerò veritiero, pensando fosse un trucco dei Tedeschi. Solo due giorni dopo, il 15 settembre, gli Inglesi informarono parzialmente gli americani, riportando che la Laconia era stata silurata e la nave mercantile britannica Empire Haven era in rotta per raccogliere i sopravvissuti, senza fare menzione dell’azione di salvataggio dei naufraghi da parte dei Tedeschi e dei Francesi.
I naufraghi del Laconia accolti sul ponte dell’U 156
L’U-156 rimase in superficie per i successivi due giorni e mezzo. Alle 11:30 del 15 settembre fu raggiunto dall’U-506 e poche ore dopo sia dall’U-507 che dal regio sommergibile Cappellini. I quattro sottomarini, con scialuppe di salvataggio al seguito e centinaia di sopravvissuti in piedi sui loro ponti, si diressero verso la costa africana e un appuntamento con le navi da guerra di superficie francesi di Vichy che erano partite dal Senegal e dal Dahomey.
Durante la notte i sottomarini si sono separati. Il 16 settembre alle 11:25, l’U-156 fu avvistato da un bombardiere americano B-24 Liberator. A bordo c’erano il tenente pilota James D. Harden, il tenente Edgar W. Keller, l’ufficiale di rotta Jerome Perimar che osservarono i sommergibili che mostravano visibili in coperta, come da convenzione internazionale, i teli bianchi con la croce rossa, indicanti la presenza di prigionieri a bordo. Il sommergibile tedesco comunicò anche una richiesta di assistenza sia in Morse sia in voce tramite un ufficiale britannico che era tra i sopravvissuti.
Nonostante il pilota americano avesse chiaramente informato la sua base della situazione, il comando americano ordinò di attaccare il sommergibile. Una delle bombe scoppiò fra le scialuppe dei sopravvissuti. uccidendone decine. Hartenstein fu così costretto a tagliare le barbette delle scialuppe e immergersi. Lo fece lentamente, conscio che molti di loro erano ancora sul ponte. Secondo il rapporto del capo pilota, effettuò quattro tentativi contro il sottomarino e solo nel quarto sganciò due bombe. Le due scialuppe di salvataggio rimaste a galla decisero di dirigersi verso l’Africa: una arrivò dopo 27 giorni con solo 16 su 68 sopravvissuti, l’altra fu soccorsa da un peschereccio britannico dopo 40 giorni in mare ma solo quattro dei suoi 52 occupanti sopravvissero.
R. Smg. Comandante Cappellini il giorno del varo
Nel frattempo, ignari dell’attacco, l’U-507, l’U-506 e il Cappellini continuarono a raccogliere i sopravvissuti. La mattina seguente il comandante del sommergibile Comandante Cappellini, tenente di vascello Marco Revedin, dopo aver scoperto con un certo sconcerto che stava soccorrendo i sopravvissuti che erano stati salvati dall’U-156, ricevette l’ordine da Betasom di tenersi pronto ad immergersi a causa di attacchi da parte del nemico. Inoltre gli fu ordinato di mettere i naufraghi sulle zattere in dotazione eccetto donne, bambini e militari italiani, e quindi dirigersi verso le navi francesi. Analogo messaggio fu ricevuto dai sommergibili tedeschi U-507 e l’U-506 ma anche i rispettivi comandanti scelsero di non lasciare alla deriva nessun sopravvissuto. Il 17 settembre, un B-25 avvistò le scialuppe di salvataggio della RMS Laconia e informò la Empire Haven della loro posizione.
6 naufraghi accolti a bordo del Gloire
L’incrociatore francese Gloire raccolse 52 sopravvissuti, tutti britannici, mentre si trovava ancora a 100 km dal punto di incontro; quindi, intercettarono lo sloop Annamite incontrando sia l’U-507 che l’U-506 al punto di incontro il 17 settembre. Ad eccezione di due ufficiali britannici tenuti a bordo dell’U-507, i sopravvissuti furono tutti trasferiti sulle navi di soccorso. In quattro ore la nave francese salvò altre 11 scialuppe di salvataggio e procedette all’appuntamento con l’Annamite. Il Gloire e l’Annamite salvarono 373 italiani, 70 polacchi e 597 britannici, che includevano 48 donne e bambini.
Il sommergibile Cappellini non arrivò al rendez vous con le navi da guerra francesi e, il 20 settembre si incontrò con l’aviso Dumont-d’Urville trasferendo tutti i naufraghi tranne otto ufficiali (due inglesi e sei italiani).
L’RMS Laconia inclinato su un fianco, foto scattata dal sommergibile tedesco
Conclusione
Dell’equipaggio originale della Laconia, stimato in 2.741 persone, solo 1.083 sopravvissero. Dei 1.658 morti (alcune stime indicano il bilancio delle perdite di 1757), 1.420 erano prigionieri di guerra italiani. Molti si sarebbero potuti salvare se fosse stato applicato dagli Alleati il diritto internazionale di guerra.
Dopo l’evento del Laconia, l’ammiraglio Karl Dönitz emise un ordine chiamato Triton Null, noto anche come Laconia Order, che proibiva agli equipaggi degli U-Boot di soccorrere i naufraghi (cosa sempre applicata precedentemente come aveva fatto il comandante Salvatore Todaro con il Cappellini nell’evento del piroscafo Kabalo). L’ammiraglio Karl Dönitz, per questo ordine, fu in seguito incriminato per crimini di guerra al processo di Norimberga del 1946. Un’accusa che si rivoltò però contro gli Alleati in quanto emersero numerosi casi in cui i sommergibilisti tedeschi avevano agito con umanità mentre ciò non era sempre avvenuto da parte degli Alleati. Fatto comprovato dall’ammiraglio USN Chester Nimitz, comandante in capo della flotta statunitense del Pacifico, che testimoniò in favore di Dönitz affermando che la Marina degli Stati Uniti aveva di fatto condotto una guerra sottomarina senza restrizioni nel Pacifico fin dal primo giorno in cui gli Stati Uniti erano entrati nel Pacifico.
Alla luce di quanto e in particolare di un ordine dell’Ammiragliato britannico dell’8 maggio 1940, secondo il quale tutte le navi dovevano essere affondate a vista nello Skagerrak, Dönitz fu assolto dall’accusa. Interessante fu l’interpretazione posteriore del Naval War College che, nella serie Studi di diritto internazionale nei conflitti armati, analizzò l’evento dell’incidente della Laconia nel contesto dell’applicazione del diritto internazionale alla guerra sottomarina della Seconda guerra mondiale. Secondo lo studio, che invito a leggere per chi vuole approfondire la questione, chi emise l’ordine di attacco e il comandante dell’aereo che lo eseguì furono entrambi colpevoli di un crimine di guerra. In particolare, il comportamento del pilota in comando fu del tutto inammissibile poiché nei suoi passaggi sul bersaglio doveva essersi per forza reso conto della situazione. I rapporti di guerra riportano che, al di là degli ordini ricevuti, gli U-Boot tedeschi fornirono ancora occasionalmente aiuto ai naufraghi.
Quella del Laconia è una pagina tragica della storia navale che fa comprendere che anche in guerra possono esistere eroismi non scritti che non danno medaglie ma fanno grandi gli uomini che li hanno vissuti.
Andrea Mucedola
Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
Fonti
Léonce Peillard, La Battaglia dell’Atlantico, Mondadori, 1998
Clay Blair jr., Hitler’s U-Boot War, 1996
Russell Hughes, The Laconia Incident: How Friendly Fire Changed POW Treatment for the Rest of the War, 2017
James P. Duffy, The Sinking of the Laconia and the U-Boat War: Disaster in the Mid-Atlantic, Lincoln, University of Nebraska Press. ISBN, 2013 [1]
Naval War College, volume 65, Targeting Enemy Merchant Shipping, I capitolo
Antonio Trizzino, Sopra di noi l’oceano, Longanesi, 1963
Gian Paolo Bertelli, Da El Alamein al Laconia
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