Le operazioni di raccolta della plastica alla diga mobile sul Po a Pontelagoscuro
Ci sono quelli dell’indignazione a comando, del «bisognerebbe», dei proclami plastic free, dello stop ai mari sporcati dalla plastica, della soluzione perfetta, del «basterebbe fare come dico io», dei «dovrebbero», del «ma il problema è un altro».
E poi ci sono quelli che fanno le cose vere: il consorzio italiano Castalia ha posato martedì sul Po una diga sperimentale che raccoglie la plastica che galleggia sul fiume portata dalla corrente fino al mare. È plastica che raccolta non arriverà all’Adriatico e al Mediterraneo.
È tecnologia italiana, tutta nata provando e riprovando. Impegnando neuroni e sudore, intelligenza e fatica fisica.
Il progetto sarà esportato ai grandi fiumi del mondo che vomitano nei mari e negli oceani tonnellate di bottiglie e flaconi, il Niger, il Congo, il Fiume Giallo, il Nilo, il Rio delle Amazzoni, il Gange e così via.
Un momento della sperimentazione. Da sinistra Antonello Ciotti (Corepla),
Edo Ronchi (Fondazione Sviluppo Sostenibile) e Meuccio Berselli (Autorità del Po)
I costi? Finora le spese sono state sostenute privatamente e nemmeno un soldo pubblico è stato usato; tuttavia questo potrebbe essere uno dei casi in cui il denaro pubblico troverebbe una destinazione meritoria.
Insieme con Castalia, la flotta ambientale italiana che pulisce dagli inquinamenti il mare, nel progetto Il Po d’AMare per salvare dalla plastica il fiume ma anche l’Adriatico ci sono il consorzio Corepla di riciclo della plastica presieduto da Antonello Ciotti, la Fondazione Sviluppo Sostenibile guidata da Edo Ronchi, l’Autorità distrettuale di bacino del Po (l’ex Magistrato del Po) con il segretario Meuccio Berselli, un convintissimo sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani.
In appena 24 ore di barriera antiplastica sono state raccolte dal Po decine di chili di «bottiglie, tappi, flaconi di detersivo, confezioni di alimenti», descrive Lorenzo Barone, direttore tecnico di Castalia, mentre si sporge con lo sguardo sul cassone dove è stata accumulata l’immpondizia tolta alla corrente del grande fiume.
La barriera antiplastica
La minaccia del cloro
Aggiunge Edo Ronchi della Fondazione Sviluppo Sostenibile: «Dobbiamo togliere la plastica dal fiume prima che arrivi al mare. Per tre motivi: in primo luogo, perché quando è nel fiume è concentrata ma quando entra in mare la plastica si disperde e diventa irraggiungibile. Poi perché quando si contamina con il sale del mare, e il sale è fatto di sodio e di cloro, la plastica non è più riciclabile e non si può nemmeno ricuperare come fonte di energia perché quando brucia il cloro sviluppa composti pericolosi. Terzo motivo, quando entra nell’acqua salata la plastica si degrada e si spacca in frammenti sempre più piccoli, quelle microplastiche mangiate dai pesci che entrano nella catena alimentare».
I fiumi del mondo
C’è una cifra, il numero 85.
Il consorzio Corepla riesce a raggiungere l’85% degli imballaggi usati in Italia, «ma dobbiamo capire dove va a finire quel 15% che sfugge alla nostra rete», commenta Antonello Ciotti, presidente del consorzio di riciclo che fa parte del sistema Conai di ricupero degli imballaggi.
Ma c’è un altro 85.
«Abbiamo chiesto all’Università di Lipsia uno studio da cui si evince che l’85% dei rifiuti nel mare proviene dai dieci maggiori fiumi del mondo, e non sono fiumi europei», aggiunge Ciotti.
Sono i grandi sporcaccioni degli oceani; sulle loro rive vivono miliardi di persone che consumano come forsennati europei.
Miliardi di persone non bevono più le acque fangose delle pozze che portano le malattie e al loro posto bevono salubri bevande sterili e imbottigliate. Possono calzare scarpe (suole e tomaie di poliuretano). Finalmente possono indossare vestiti come le tute sportive (poliestere). Finalmente possono lavarsi, e possono pulire nella lavatrice i loro vestiti.
Ma poi le bottiglie vuote di Maltina e di Orangina, i flaconi usati del detersivo e dello shampo, le scarpe sfondate e le tute vecchie non trovano un servizio di raccolta e smaltimento. E arrivano ai fiumi. E agli oceani.
Il battello di Castalia ha raccolto nella rete la plastica rimasta catturata dalla diga mobile
L’immondizia nel mare
Per arginare la sporcizia del mare è importante agire sui fiumi. I rifiuti marini provengono per circa l’80% dalla terraferma e raggiungono il mare prevalentemente attraverso i corsi d’acqua e gli scarichi urbani, mentre per il 20% derivano da attività di pesca e navigazione.
Tra le principali cause vi sono la non corretta gestione di rifiuti urbani e industriali, la scarsa pulizia delle strade, abbandoni e smaltimenti illeciti.
Inoltre l’Italia, per la sua posizione al centro del Mediterraneo, un bacino chiuso, e l’estensione delle sue coste, è un Paese particolarmente esposto a questo problema.
Come funziona la diga antiplastica
La barriera antiplastica della Castalia è una delle prime sperimentazioni al mondo.
Esperienze simili sono allo studio in Danimarca (con prove in India), Francia e in Olanda.
Castalia è un consorzio formato da un gruppo di armatori con navi antinquinamento.
Per conto del ministero dell’Ambiente, delle compagnie petrolifere e di aziende, le navi Castalia intervengono per fermare gli inquinanti in mare, come il petrolio, con strumenti come le barriere galleggianti.
A titolo di esempio, le navi e i battelli di Castalia sono intervenuti per proteggere l’isola del Giglio quando è naufragata la nave da crociera Costa Concordia (2012) e quando un’onda di prodotti petroliferi è sgorgata da un oleodotto sul Polcevera arrivando fino al mare di Genova.
Così sulla sua esperienza Lorenzo Barone di Castalia si è domandato: visto che sappiamo fermare ciò che scorre sull’acqua, perché non proviamo a fare qualcosa contro la plastica?
È stata condotta una prova sul fiume Sarno in Campania, poi sul Tevere.
Non andava bene ancora; la corrente non era sufficiente alla prova, e le prime prove si basavano su strumenti come le reti, che bloccano anche i pesci e il legname portato dalla corrente.
Finalmente, la giusta idea. Salsicce gonfiabili di gomma studiate per galleggiare alla giusta altezza. Abbastanza immerse nell’acqua da fermare bottiglie e flaconi, non troppo immerse in modo che tronchi di legno portati dalla corrente non si fermino e scivolino sotto la salsiccia di gomma. La plastica viene catturata. «L’unica difficoltà è con le canne palustri, che hanno la stessa densità della plastica e si fermano sui galleggianti», aggiunge Barone.
La diga viene messa come un imbuto o come una Y vicina a una riva, e la plastica che si ferma sui grandi bracci aperti viene convogliata dalla corrente fino al tratto centrale dell’imbuto.
La barriera non taglia a metà il fiume da una riva all’altra, in modo da non impedirne la navigazione. Invece più barriere in sequenza lungo il corso del fiume possono estrarre dalla corrente tutta la plastica.
Un battello periodicamente raccoglie la plastica che vi è concentrata e la porta a riva, in un cassone scarrabile.
Quando il cassone è pieno, un camion porta la plastica al centro di riciclo della plastica Transeco a Zevio (Verona), a circa 75 chilometri, dove avverrà una prima separazione delle diverse frazioni del rifiuto, con la selezione della componente plastica da inviare a successivi trattamenti e lo smaltimento della frazione estranea non recuperabile. Il rifiuto plastico verrà poi inviato al centro di selezione Drv di Torretta a Legnago (Verona), un centro di selezione Corepla capace di suddividere, mediante una rete di lettori ottici, gli imballaggi in plastica delle diverse plastiche per l’avvio al riciclo o al recupero energetico.
Il grande fiume
Ferrara ha una storia importante con la plastica. Dagli anni ’30 Ferrara ospita uno dei più importanti poli europei della produzione di materie plastiche e della ricerca. Questo è uno dei motivi che hanno spinto ad avviare qui la sperimentazione della diga antiplastica. Ma anche il fatto, come ricorda il sindaco Tagliani, il fatto che i ferraresi amano il loro fiume. Lo amano talmente da berselo: è il grande fiume ad alimentare l’acquedotto di Ferrara. E i ferraresi esigono un Po pulito.
Assicura Meuccio Berselli, segretario generale dell’Autorità di bacino del Po (quello che una volta era il Magistrato del Po), che la sperimentazione ora in conduzione alla stretta di Pontelagoscuro, prima che il fiume si apra nel Delta, sarà ripetuta più a monte fra Piacenza e Cremona all’ansa che il fiume disegna a Isola Serafini.
Il Po raccoglie la plastica di 20 milioni di persone, del 40% del Pil nazionale, di 4 regioni e 13 province, di 6mila depuratori. Non sempre è plastica gettata dai maleducati: spesso la pioggia, il maltempo o la cattiva sorte portano con sé ciò che trovano come tronchi, rifiuti, sassi, fango, animali. Ma quasi tutto affonda; viaggiano spinti dalla corrente solamente i pezzi di legno e le bottiglie di plastica.
E dopo E poi? E poi si penserà a togliere la plastica dai 21 fiumi italiani. E gli italiani potranno esportare ambiente ai Paesi che più ne hanno bisogno, in quei dieci fiumi che rovesciano immondizia sul mondo.
Le dichiarazioni ufficiali: Berselli dell’Autorità del Po
«Poter contare su un futuro che tenga maggiormente in considerazione le risorse naturali esauribili e impegnarsi con tutti gli strumenti tecnologici e di ricerca avanzata possibili per mitigare l’incidenza degli agenti inquinanti è compito di chi ha a cuore un ambiente sostenibile in cui vivere e prosperare. In linea con gli auspici ministeriali, cercando soprattutto di dare ulteriori ed esaustive risposte alle comunità che vivono e operano lungo l’asta del fiume Po e ai molteplici portatori di interesse che l’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po che rappresento in qualità di segretario generale, si adopererà al massimo delle proprie competenze e potenzialità tecniche per avviare e concertare tutti i processi virtuosi in grado di fornire risposte approfondite e soluzioni praticabili nella lotta all’inquinamento delle acque. Questo progetto sperimentale ne è un esempio concreto», ha sottolineato Meuccio Berselli.
Le dichiarazioni ufficiali: Barone di Castalia
«Dopo un’intensa fase sperimentale, il nostro prototipo, ideato e brevettato per raccogliere la plastica galleggiante dei fiumi, diventa operativo: attraverso una barriera sperimentale in polietilene e con l’ausilio di mezzi seahunter, siamo in grado di intercettare la plastica nel tratto del Po in località Pontelagoscuro in maniera selettiva. Il sistema non interferisce con il delicato equilibrio di flora e fauna del Po ed è progettato per restare posizionato nel fiume anche per lungo tempo: insomma, in questo modo spezziamo il circolo vizioso dell’inquinamento da plastica abbandonata che, dalla terraferma, arriva ai fiumi e poi fino alle acque del mare», ha spiegato Lorenzo Barone, direttore tecnico di Castalia.
Le dichiarazioni ufficiali: Ciotti di Corepla
«Una sperimentazione che abbiamo fortemente voluto. Un effettivo, innovativo argine a quell’80% di rifiuti marini che provengono dalla terraferma, frutto di una scorretta gestione dei rifiuti urbani e industriali oltre che di abbandoni e smaltimenti illeciti. Questo progetto sperimentale di raccolta e riciclo della plastica avviato sul fiume Po ci auguriamo possa favorire, in un prossimo futuro, la creazione di reti ed opportunità per i territori, le imprese e il sapere scientifico, creando vera economia circolare per valorizzare proprietà ed energie di questo materiale. Ricordo che l’Italia è all’avanguardia in Europa per know how: ricicliamo infatti imballaggi che in altri Paesi non vengono nemmeno raccolti. Ad oggi oltre 8 imballaggi in plastica su 10 immessi sul mercato vengono recuperati e la sfida per Corepla è diventare catalizzatore nella ricerca e sviluppo di nuove applicazioni nel campo del riciclo», ha dichiarato Antonello Ciotti.
Le dichiarazioni ufficiali: Ronchi della Fondazione Sviluppo Sostenibile
«Il marine litter è uno dei problemi ambientali più gravi del nostro tempo. Si stima che oltre l’80% sia composto da plastiche e microplastiche, e gran parte di queste arrivano in mare trasportate dai corsi d’acqua. Il progetto sperimentale sul Po potrà consentire di valutare l’efficacia del sistema di raccolta dei rifiuti nelle acque fluviali, le quantità e le tipologie di rifiuti presenti, insieme alla possibilità di riciclare le plastiche raccolte creando una filiera virtuosa. Sulla base dei risultati del progetto pilota, uno dei primi al mondo, questa modalità di prevenzione dei rifiuti marini potrebbe essere estesa a tutti i principali fiumi italiani», ha concluso Edo Ronchi.