L’operazione della Marina Militare italiana si è rivelata più complicata del previsto e ora si trova in un porto egiziano
L’arrivo della nave Vulcano nel porto egiziano di Al-Arish, in Egitto, il 3 dicembre 2023. (DOMITILLA CONTE/ANSA)
Lo scorso 8 novembre è salpata dal porto laziale di Civitavecchia una nave della Marina Militare attrezzata con un ospedale a bordo. L’operazione era stata annunciata con una conferenza stampa dal ministro della Difesa Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia. Crosetto in particolare aveva esaltato la tempestività dell’iniziativa italiana, rivendicando come il nostro paese fosse stato il primo a essersi mosso in questa direzione.
Al momento della partenza, la nave aveva a bordo un equipaggio di oltre 170 marinai, di cui circa 30 medici, infermieri e chirurghi della Marina impiegati nella struttura sanitaria, oltre a due infermiere volontarie della Croce Rossa. Non era chiaro quale sarebbe stata la destinazione della nave. Esponenti di maggioranza e diversi giornali e trasmissioni televisive avevano detto che la Vulcano salpava «verso Gaza». Il comunicato diramato dal ministero della Difesa utilizzava una formula più vaga, parlando della nave «pronta a partire verso il Medio Oriente», quindi verso il Mediterraneo orientale.
Il porto di Al-Arish e l’area circostante erano stati scelti dall’Egitto come una sorta di base logistica degli aiuti umanitari inviati da diversi paesi del mondo alla Striscia fin dal 13 novembre, quando era stato installato proprio lì un ospedale da campo inviato dalla Turchia. Nei giorni seguenti erano arrivati altri container di aiuti da alcuni paesi europei, e il personale della Mezzaluna Rossa – l’equivalente della Croce Rossa – aveva iniziato a lavorarci. Il 29 novembre aveva attraccato al porto di Al-Arish una portaelicotteri anfibia della Marina francese, la Dixmude, attrezzata con un ospedale a bordo proprio come la Vulcano. Ad Al-Arish c’è inoltre uno dei principali ospedali dell’area, che cura molti palestinesi in fuga dalla Striscia.
La Vulcano è entrata pienamente in funzione alcuni giorni dopo, tra il 4 e il 5 dicembre, quando ha ricevuto a bordo i primi pazienti palestinesi che avevano lasciato la Striscia di Gaza ed erano stati già ricoverati negli ospedali egiziani. In questo modo la nave italiana contribuisce ad alleggerire la pressione sul sistema sanitario dell’Egitto. Nel frattempo lo Stato maggiore della Difesa italiano ha avviato colloqui con le autorità della Giordania e degli Emirati Arabi Uniti, che hanno già personale sanitario attivo nella Striscia, per valutare se e come sia possibile ospitare e curare direttamente sulla Vulcano persone in fuga dalla Striscia.
Sulla Vulcano si effettuano ormai da giorni interventi piuttosto delicati, che si svolgono nelle due sale operatorie presenti e sono finalizzati soprattutto a salvare arti feriti, a rischio amputazione. Il primo caso è stata una donna di 38 anni, vittima di un’esplosione ed estratta dalle macerie con gravi lesioni a entrambe le braccia: l’intervento è durato cinque ore e ha compreso tra l’altro il trapianto di un nervo. La donna ha recuperato la funzionalità delle braccia. In altri casi, le operazioni chirurgiche servono a stabilizzare dei pazienti, soprattutto giovani, arrivati in gravi condizioni, e che solo dopo un primo intervento parziale possono essere poi trasferiti al Children Hospital di Doha, in Qatar.
Un intervento chirurgico eseguito sulla nave Vulcano (ministero della Difesa)
Quanto alla seconda fase dell’operazione, che prevede l’installazione di un ospedale da campo, la situazione è proibitiva. Il 6 dicembre scorso il ministro Crosetto ha riferito alla Camera sullo stato di avanzamento della missione. Ha spiegato che l’intenzione del governo è di «poterlo collocare all’interno della Striscia di Gaza», e ha aggiunto che «da giorni sono in corso interlocuzioni con Israele, Egitto ed Emirati Arabi Uniti per l’individuazione della soluzione più idonea». Ha poi aggiunto il dettaglio più importante: il 5 dicembre «era stata avviata la ricognizione da parte del nostro team militare nel Sud di Gaza».
Crosetto si riferiva a una squadra composta da una dozzina di militari che è andata in perlustrazione per capire quale potesse essere il luogo dove installare l’ospedale. L’ipotesi più accreditata era farlo in prossimità di un ospedale da campo con circa 150 posti letto che gli Emirati Arabi Uniti avevano aperto il 2 dicembre nel Sud della Striscia, in accordo col governo e l’esercito israeliani. L’esito della ricognizione italiana, secondo il ministero della Difesa, è però stato molto negativo: mentre erano sul campo, pochi chilometri a nord di Rafah, i militari hanno assistito a scontri e violenze tra diversi gruppi di palestinesi, e questo ha reso sconsigliabile per ora procedere con la missione.