Dal sito Ocean4Future un approfondimento a cura di Gian Carlo Poddighe
Il motore endotermico è uno dei tanti esempi d’invenzione collettiva, anche se gli “storici” per semplicità lo fanno risalire solo a Rudolf Diesel, per un tipo di ciclo di combustione (accensione spontanea) e a Nikolaus August Otto, per un altro tipo di ciclo di combustione (accensione comandata), genericamente collegato alla benzina.
Normalmente la storia tecnica, con una visione eurocentrica, parla di un percorso complesso iniziato nel 1862 da Beau de Roches in Francia poi messo a punto nel 1893 da uno scienziato bavarese, Rudolf Diesel 1, uno scienziato bavarese.
Il secondo motore diesel sperimentale nel museo MAN di Augsburg, Germania Experimental Diesel Engine.jpg – Wikimedia Commons
In realtà il percorso dello sviluppo dei motori endotermici dovrebbe prendere in considerazione anche gli studi e le applicazioni industriali e navali dello statunitense Brayton, con il suo Ready Motor Hydrocarbon Engine, studiato a partire dagli anni’50 del XIX^ secolo, brevettato nel 1872, ed applicato sui sommergibili progettati e costruiti da Holland tra il 1874 ed il 1878; un lungo percorso con motori policarburanti precursori sia del ciclo Otto che del ciclo Diesel, sia a 2 Tempi che a 4 Tempi, che furono in seguito oggetto di lunghissime controversie relative a diritti e brevetti.
Un motore alternativo a combustione interna è costituito essenzialmente da uno o più cilindri dentro i quali scorrono a tenuta i pistoni che, collegati mediante altrettanti meccanismi biella-manovella ad un albero motore, permettono di trasferire a quest’ultimo un moto di rotazione. I cilindri vengono riempiti ciclicamente da una carica di fluido fresco mediante opportuni sistemi di valvole o di luci. Il fluido immesso nei cilindri è costituito da miscela aria e combustibile oppure da sola aria a cui viene successivamente aggiunto combustibile. Nel caso dei motori diesel motori la combustione è resa possibile dall’iniezione di ima certa quantità di combustibile nel cilindro in cui si è precedentemente introdotta aria.
Quando s’impose la necessità di un’alternativa al motore a benzina, la macchina Diesel non era una novità ma era la scelta obbligata di una soluzione ormai matura e conosciuta: la sfida era adattare – in primo luogo all’impiego navale – una macchina ormai accettata ma che nella mentalità dell’epoca era destinata ad altri scopi.
L’applicazione sui sommergibili, un passo obbligato per la sicurezza nel ristretto ambiente dove dovevano essere impiegati i motori endotermici, fu quella che maggiormente diede impulso allo sviluppo delle motrici diesel, cambiandone la percezione di impiego, da macchina industriale fissa a quella di apparato motore ideale per navi o veicoli pesanti.
I requisiti per l’impiego sui sommergibili influirono profondamente sugli sviluppi di questo tipo di motore, ma bisogna anche ricordare che la sua adozione e evoluzione per uso navale (unità militari) comportò un importante lavoro di sviluppo di combustibili e lubrificanti adatti alle specifiche e pesanti condizioni di funzionamento, senza citare la logistica relativa ai necessari carburanti e oli, a bordo ed a terra. In ogni Paese il maggior contributo allo sviluppo dei motori diesel si deve alla Marina, e sempre con un orientamento specifico ovvero la necessità assoluta di disporre di macchine affidabili per i sommergibili. Ciò comportò che le principali Marine (accettando insuccessi) si assunsero lo sforzo costoso della sperimentazione e messa a punto di questi motori per non parlare dei rischi connessi.
Il fatto che i sommergibili operino indifferentemente sopra e sotto la superficie del mare impone precisi limiti alle dimensioni, al disegno ed alle forme dello scafo; l’esponente di peso totale dell’apparato motore (non solo il motore propriamente detto ma anche tutti i suoi accessori e servizi) è un fattore determinate per qualsiasi unità navale ma ha un impatto maggiore e significativo sui battelli subacquei. Le caratteristiche dello scafo, comprese le forme, limitano le dimensioni dei motori e non solo i volumi ma anche la distribuzione ed il posizionamento a bordo dei locali destinati all’apparato motore. Il peso del motore deve essere quindi proporzionato alla percentuale ottimale dell’esponente di peso ed ovviamente al dislocamento della nave, nonché ai requisiti di potenza e velocità da sviluppare.
Nei primi sottomarini a propulsione meccanica, il motore era collegato rigidamente all’elica tramite la linea d’asse. Questo collegamento (in inglese direct drive) presentò immediati problemi sia costruttivi che di funzionamento: le forme dello scafo imponevano una certa inclinazione, sia sul piano orizzontale che su quello verticale, ed una certa lunghezza della linea d’assi; inoltre l’allineamento con la stessa determinava la posizione e l’ingombro del motore all’interno dello scafo, mentre le velocità di rotazione di maggior efficienza dell’elica non sempre corrispondevano alle velocità di rotazione del motore di maggior efficienza.
Ulteriore problema, le velocità critiche (o vibrazioni torsionali sincrone) che si amplificavano. Non si trattava di problemi noti né predeterminabili e spesso non fu possibile rispettare le velocità di progetto, a causa dei transitori a velocità critiche a cui erano soggetti i motori, in particolare su unità che necessitavano variazioni continue dei regimi. I problemi maggiori erano come progettare e collegare le eliche all’ asse, o le pale delle eliche sul mozzo, ed allo stesso tempo come eventualmente separare i motori dalla linea d’assi in modo che non esistesse una rigidità meccanica. Inoltre, la progettazione di una motrice in grado di selezionare diverse velocità di rotazione per motori ed eliche alla massima efficienza reciproca. Non ultimo come assicurare la reversibilità del moto. Le soluzioni furono profondamente diverse, da Marina a Marina, con innumerevoli prove e varie combinazioni. Il motore diesel nacque come un motore policarburante, sperimentato ed impiegato con ogni genere di alimentazione, dal gas all’olio di arachidi, alla polvere di carbone, per arrivare solo molto tardi a derivati ed infine a distillati del petrolio.
Dopo un’infinita serie di prove ed applicazioni in campo terrestre, nell’impiego iniziale navale, l’iniezione del combustibile avveniva a mezzo di aria compressa. Il sistema rimase tale, con una certa complicazione degli ausiliari a bordo, sino alla fine degli anni 20 del secolo scorso, quando, poco dopo il 1929, l’iniezione di tipo meccanico o solido fu adottata su motori MAN e subito entusiasticamente diffusa negli Stati Uniti, a cominciare dalla US Navy.
I vantaggi di questo tipo di iniezione furono immediatamente evidenti; utilizzando l’iniezione di tipo “solido” (o meccanico), il peso dei motori poteva essere notevolmente ridotto. L’eliminazione del compressore d’aria con i suoi accessori e collegamenti comportò un risparmio sull’esponente di peso di circa il 14% e numerosi vantaggi 2. In Italia il sistema ad iniezione diretta fu introdotto già alla fine degli anni 30, ma fu generalizzato sui motori di nuova produzione solo a partire dal 1934/1935.
Voglio ricordare che la mia analisi, pur considerando l’evoluzione globale e alcune esperienze parallele, segue principalmente l’evoluzione italiana dei motori diesel a due tempi, di media potenza, in gran parte compresa fra i 1300 e 2500 HP, con velocità di rotazione sui 350 – 450 giri/min., che erano destinati ai sommergibili, in grado di essere accoppiati direttamente alle eliche senza la complicazione, costo e peso di un riduttore. Salvo pochi, e vani casi, nello sviluppo dei sommergibili tutte le Marine adottarono il motore a combustione interna per la propulsione in superficie e per caricare le batterie destinate all’alimentazione della propulsione subacquea. Le prime unità utilizzavano motori a ciclo Otto a benzina, che rapidamente risultò incompatibile, tossica ed esplosiva, a maggior ragione nel ristretto ambiente dei battelli subacquei.
In questa breve fase la motoristica italiana non solo si rivelò adeguata alle necessità di battelli di ridotte dimensioni ma registrò alcuni successi, anche di esportazione, tra i quali, non unica, l’adozione di motori FIAT e TOSI per i sommergibili prodotti dalla CRAMP statunitense (che aveva anche rapporti progettuali con la Fiat San Giorgio e per certi aspetti costruttivi inizialmente si rifaceva ai progetti Laurenti).
La repentina necessità di passare ad altro combustibile rispetto alla benzina, con l’inevitabile passaggio al ciclo Diesel, scatenò una vera competizione internazionale per sviluppare e testare una vasta gamma di motori diesel, per trasformare macchine nate per uso statico, industriale, in motrici compatte e leggere per l’imbarco sui sommergibili. Competizione e ricerche iniziate con le prime unità per tutto il quinquennio precedente la prima guerra mondiale, per poi riproporsi – dopo la stasi e l’incertezza dei trattati – fino alla seconda guerra mondiale. I primi sommergibili richiedevano motori compatti, insolitamente leggeri per gli standard dell’epoca, e questa fu la prima sfida tra i costruttori o potenziali costruttori dell’epoca. I primi diesel adottavano un ciclo a 4 tempi analogo a quello di un motore a benzina standard, anche se pochi costruttori, tra cui l’italiana FIAT, tentarono sin dall’inizio di seguire la strada del ciclo a 2 tempi che era ritenuto, almeno in teoria, la vera possibilità di produrre un motore più leggero e compatto, poiché il peso e l’ingombro risultavano prioritari per l’imbarco sui sommergibili.
Scelta che presentò all’inizio serie difficoltà per le maggiori sollecitazioni a cui con tale ciclo sono soggetti struttura e basamenti. Malgrado le croniche difficoltà di reperire materiali speciali e di pregio di produzione nazionale, la soluzione a 2 tempi fu quella maggiormente adottata dai costruttori italiani, seppur con certi compromessi, che portarono a motori non tanto leggeri quanto sarebbe stato auspicabile ma affidabili, seppur a scapito dell’ottimizzazione e della massima efficienza. In parallelo si dovettero definire nuove procedure che influirono sulla scelta, la struttura, il peso dei motori e fu analizzata e testata un’ampia serie di combinazioni propulsive. Alcuni motori erano reversibili e potevano essere utilizzati per le manovre, altri non lo erano e per le manovre si doveva ricorrere ai motori elettrici alimentati dalle batterie. I motori potevano essere utilizzati per la propulsione o per la ricarica della batteria, e questo comportava la necessità di studiare giunti affidabili sui segmenti della linea d’ assi relativi ai motori termici ed ai motori elettrici, ai fini di effettuare la carica delle batterie sia in banchina che, con qualche maggiore difficoltà iniziale, in navigazione.
La massima flessibilità operativa per qualsiasi combinazione di gruppi diesel / generatori per operazioni di carica, propulsione e manovre dei battelli si raggiunse finalmente con l’adozione della propulsione diesel/elettrica, soluzione che risultò però preveggente e tempestiva solo nella US Navy, tardiva nella marina tedesca, nulla in altre marine, soprattutto nella Regia Marina Italiana.
Fine I parte – continua
Gian Carlo Poddighe
Note
1 Per curiosità, la prima versione del motore diesel, monocilindrica, utilizzava come combustibile polvere di carbone
2 I vantaggi derivati dall’uso dell’iniezione meccanica furono numerosi, tra cui:
1) semplificazione del disegno del motore e dei suoi accessori, con migliore accessibilità
2) minore lunghezza del motore
3) peso notevolmente ridotto per unità di potenza
4) ridotto consumo di carburante
5) miglioramento del bilanciamento del carico nel motore
6) affidabilità molto maggiore
7) manutenzione ridotta.
PARTE I PARTE II
Gian Carlo Poddighe
Ufficiale del Genio Navale della Marina Militare Italiana in congedo, nei suoi anni di servizio è stato destinato a bordo di unità di superficie, con diversi tipi di apparato motore, Diesel, Vapore, TAG. Transitato all’industria nazionale ha svolto incarichi di responsabilità per le costruzioni della prima legge navale diventando promotore delle Mostre Navali Italiane. Ha occupato posizioni dirigenziali sia nel settore impiantistico che delle grandi opere e dell’industria automobilistica, occupandosi della diversificazione produttiva e dei progetti di decarbonizzazione, con il passaggio alle motorizzazioni GNV.
E’ stato membro dei CdA di alcune importanti JV internazionali nei settori metallurgico, infrastrutturale ed automotive ed è stato chiamato a far parte di commissioni specialistiche da parte di organismi internazionali, tra cui rilevanti quelle in materia di disaster management. Giornalista iscritto all’OdG nazionale dal 1982, ha collaborato con periodici e quotidiani, ed è stato direttore responsabile di quotidiani ricoprendo incarichi di vertice in società editoriali. Membro di alcuni Think Tank geopolitici, collabora con quotidiani soprattutto per corrispondenze all’estero, pubblica on line su testate del settore marittimo e navale italiane ed internazionali. Non ultimo ha pubblicato una serie di pregevoli saggi sull’evoluzione tecnologica e militare sino alla 2^ Guerra Mondiale, in particolare della Regia Marina, pubblicati da Academia.edu.