Sono stati trovati sacchetti e altri oggetti, a conferma di quanto sia ormai inquinato anche uno dei posti più remoti del pianeta.
La fossa delle Marianne, la profondissima depressione nell’oceano Pacifico, è nell’immaginario collettivo uno dei posti più inaccessibili della Terra e per questo più protetto da contaminazioni e inquinamento. Un recente studio sulla presenza di plastica negli oceani ha però rivelato che nemmeno i grandi abissi sono immuni all’inquinamento prodotto dall’attività umana. I ricercatori hanno infatti trovato tracce di rifiuti plastici a una profondità di quasi 11mila metri nella fossa delle Marianne, dando nuova consistenza alle precedenti ricerche.
La ricerca è stata coordinata da Sane Chiba dell’Agenzia per le scienze e le tecnologie marine (JAMSTEC) del Giappone, studiando i dati raccolti in questi anni dall’organizzazione nel Deep-sea Debris Database. L’enorme archivio raccoglie fotografie e video realizzati da oltre 5mila sommozzatori ed esploratori marini negli ultimi 30 anni, allo scopo di studiare la salute degli oceani e il loro stato di inquinamento. Analizzando alcune di queste immagini, i ricercatori hanno notato la presenza di detriti a grande profondità nella fossa della Marianne.
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La depressione oceanica è una sorta di lunga cicatrice di 2.550 chilometri nella crosta terrestre con una larghezza media intorno ai 69 chilometri. Il suo punto più profondo è di quasi 11mila metri. Inizialmente ritenuti inadatti alla vita per le condizioni di pressione, temperatura e assenza di luce, negli ultimi decenni i ricercatori hanno via via scoperto che anche i punti più profondi della fossa delle Marianne ospitano ecosistemi piuttosto vari con centinaia di specie viventi. Una delle spedizioni più recenti nella zona, realizzata nel 2016 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA, l’agenzia statunitense che si occupa di oceani e meteorologia), ha identificato numerose nuove specie di coralli, meduse e polpi. Il fatto che l’area subisca gli effetti dell’inquinamento preoccupa i ricercatori, interessati a studiare aree dell’oceano ancora incontaminate.
Nel Deep-sea Debris Database i materiali plastici sono i più ricorrenti tra gli inquinanti, a partire dalle buste di plastica. I ricercatori hanno calcolato che l’89 per cento dei materiali plastici provengano da oggetti usa e getta come bottiglie, utensili di vario tipo e appunto sacchetti. Prodotti di questo tipo impiegano secoli prima di disciogliersi completamente e sono una preoccupante fonte di inquinamento, soprattutto perché finiscono nella catena alimentare di numerose specie marine.
Non è chiaro quale sia la provenienza degli inquinanti in generale trovati nella fossa delle Marianne, ma i ricercatori ipotizzano che derivino dalla disgregazione della plastica in superficie, poi trasportata in profondità dalle correnti marine.