Una nuova ricerca ha stimato che ci sono più di 269mila tonnellate di frammenti di varie dimensioni – ma soprattutto piccolissimi – e che le cose peggioreranno.
Dispersi negli oceani di tutto il mondo ci sono oltre 5mila miliardi di frammenti di plastica, grandi e piccoli, per una massa complessiva intorno a 269mila tonnellate di materiale inquinante. La stima è stata effettuata da un gruppo di ricercatori coordinati da Marcus Eriksen, cofondatore dell’organizzazione senza scopo di lucro statunitense 5 Gyres Institute, che si occupa da tempo dei temi legati all’inquinamento dei mari. Il loro lavoro, che ha portato a uno studio pubblicato sulla rivista scientifica PLOS One, conferma ricerche precedenti sulla grande quantità di inquinanti negli oceani dovuti all’attività umana e sulla loro diffusione su larga scala.
La ricerca di Eriksen e colleghi è basata su un’ampia serie di dati raccolti a partire dal 2007 grazie a una serie di spedizioni marine, organizzate con la collaborazione di scienziati provenienti dagli Stati Uniti, dalla Francia, dal Cile, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. Utilizzando reti simili a quelle per la pesca dei pesci più piccoli, i ricercatori hanno raccolto frammenti di plastica di diverse dimensioni, che galleggiano da anni sugli oceani trasportati dalle correnti. I detriti più grandi sono stati invece osservati a vista, con la raccolta di alcuni campioni per valutarne la composizione.
Secondo i ricercatori, la maggior parte dei frammenti ha dimensioni intorno ai 5 millimetri, cosa che facilitato enormemente la diffusione degli inquinanti su ampie porzioni di oceano. Questo particolare richiama e conferma gli esiti di un’altra ricerca, pubblicata la scorsa estate, dedicata soprattutto agli effetti delle molecole di plastica disciolte in acqua sulle varie specie che popolano gli oceani.
Le spedizioni sono state realizzate in diversi punti delle aree settentrionali e meridionali del Pacifico e dell’Atlantico. Le navi dei ricercatori si sono poi spinte nell’oceano Indiano e hanno analizzato le acque lungo parte delle coste dell’Australia e del Golfo del Bengala. I detriti raccolti provengono da molti tipi diversi di spazzatura: dai comuni sacchetti di plastica alle reti utilizzate per la pesca in mare.
La grande varietà di plastica in varie dimensioni è entrata a far parte della dieta di molte specie marine. I frammenti più piccoli, con dimensioni paragonabili a quelle del plancton (l’insieme di microorganismi fondamentale per l’alimentazione di numerose specie che vigono negli oceani), sono ingerite dagli animali, con conseguenze ancora poco chiare dal punto di vista biologico. In una certa misura, la plastica è comunque entrata nella catena alimentare, perché i pesci più grandi si nutrono delle specie più piccole che mangiano regolarmente la plastica insieme al plancton. C’è quindi una possibilità che alcune di quelle specie ittiche finiscano poi nelle pescherie e nei nostri piatti.
Sulla base di calcoli statistici, basati sulle correnti marine, lo studio spiega che i pezzi di plastica sono diffusi in buona parte degli oceani, anche se la maggior parte si concentra in cinque punti dove si trovano altrettanti vortici causati dalle correnti oceaniche. I rifiuti vengono risucchiati lentamente da queste enormi spirali e girano per mesi sfregando gli uni contro gli altri, mentre la continua esposizione ai raggi solari modifica la loro composizione chimica. Questo processo porta i grandi pezzi di plastica a rompersi in frammenti più piccoli, che le correnti trascinano poi verso altri punti degli oceani. In precedenza si era ipotizzato che, per quanto enormi, i vortici contribuissero a mantenere in aree circoscritte il problema dell’inquinamento oceanico, ma il nuovo studio contraddice questa ipotesi.
La ricerca pubblicata su PLOS One è la prima ad avere analizzato in modo così esteso, sia in termini di tempo sia geograficamente, il fenomeno dell’inquinamento degli oceani legato alla plastica. I dati raccolti potranno essere utilizzati per realizzare modelli statistici più accurati in futuro, in modo da prevenire l’andamento stesso della presenza di inquinanti nei mari. Secondo i ricercatori, il volume di plastica a mollo negli oceani è destinato ad aumentare in tempi rapidi, perché l’utilizzo sempre più massiccio della plastica da parte dei paesi emergenti e in via di sviluppo non è seguito da campagne di riciclo efficaci. In tutto il mondo, si stima che solo il 5 per cento della plastica sia riciclato in modo appropriato.