Dal sito Ocean4future un estratto del saggio di Francesco Mattesini a cura della Redazione
Scritto da Redazione OCEAN4FUTURE
Nell’immediato dopoguerra si sono accese molte discussioni sul fatto che il disastro di Taranto poteva essere imputato a un tradimento, da ricercare negli organi della Regia Marina [italiana]; ipotesi che trovò convinti sostenitori in larghi strati dell’opinione pubblica nazionale, ma che alla luce dei fatti deve essere respinta energicamente. Il motivo di quell’umiliazione militare, che seguiva di pochi giorni il disastroso inizio delle operazioni del Regio Esercito sul fronte dell’Epiro, in cui per gli Italiani esisteva il rischio di essere ricacciati in mare dai male armati ma combattivi soldati ellenici, era da ricercare nella mentalità dei capi militari italiani, tendenti, per ingenuità, faciloneria ed insipienza, a decantare le proprie scarse doti e a sottovalutare quelle che erano le qualità e le possibilità combattive del nemico. Soprattutto era stato tenuto scarsamente conto della spregiudicatezza dei britannici nell’inventare sempre nuove sorprese, frutto di una preparazione di addestramento e di tecnica perfetti, affinati in quattro secoli di storia navale ad alto livello, cui si aggiungeva un potenziale industriale notevole che permetteva l’uso di mezzi e di armi sempre più sofisticati. E ancora di più rimarchevole era che il successo dell’operazione “Judgment” fosse stato ottenuto da biplani antiquati e fatiscenti come gli Swordfish, che gli equipaggi avevano denominato “grovigli di fili” perché tenuti insieme da complessi tiranti. Si trattava di aerei particolarmente sgraziati e di aspetto ridicolo, capaci al massimo di volare a 180 chilometri all’ora, che a quell’epoca corrispondeva a quella che poteva raggiungere un elettrotreno, non certo quella di velivoli moderni.
Uno Swordfish lancia un siluro per esercitazione
da Britain’s Missed Mirage? – The Fairey Delta 2 – Forgotten Aircraft – Military Matters
Alle qualità combattive e alla determinazione dei britannici faceva, purtroppo, riscontro la leggerezza e la indecisione con cui da parte italiana era stata organizzata la sorveglianza e la difesa, non soltanto nella base di Taranto, ma, come abbiamo ampiamente dimostrato, anche nelle zone limitrofe dello Ionio e del Canale d’Otranto. In tali condizioni di pressapochismo e di ingenuità, l’attacco britannico si svolse con la più grande agevolazione e conseguì quel pieno successo che in esso avevano risposto i pianificatori dell’operazione “Judgment”.
Nella foto della ricognizione aerea, fatta su Taranto
dopo l’attacco dell’11 novembre 1940 da un velivolo
Maryland della 431° Flight, il Littorio colpito da tre
siluri, con il ponte a prora dipinto a strisce
trasversali bianche e rosse per l’identificazione da
parte degli aerei nazionali, è incagliato con la prua
immersa. Le sono attorno navi ausiliarie di soccorso
ed un sommergibile incaricato d
i fornire alla corazzata l’energia elettrica –
da saggio citato in riferimento
Se la permanenza delle quasi totalità della flotta a Taranto può essere, almeno in parte, giustificata, altre smagliature, riscontrabili nell’ambito dell’organizzazione difensiva della base, non lo sono certamente. I varchi nelle istruzioni, attraverso i quali gli aerosiluranti britannici scelsero la posizione di lancio; la mancata installazione di 2.900 metri di reti parasiluri già pronte nei depositi ma non sistemate per mancanza di ormeggi di boe, catene, ancore e gavitelli; la taratura delle reti a 10 metri di profondità; la mancanza dell’idrogeno che impedì la sostituzione dei palloni asportati dal vento; il difetto dei collegamenti con gli aerofoni che rendevano inefficace l’impiego dei proiettori; la intensa, ma scarsa di risultati, reazione contraerea di circa trecento fra cannoni e mitragliatrici della base, e delle centinaia di bocche da fuoco delle unità della flotta, sono circostanze che non giustificano.
Mar Grande di Taranto. In questa immagine ripresa da un
ricognitore Maryland della 431 è visibile la corazzata
Cavour semiaffondata con una forte perdita di nafta –
da saggio citato in riferimento
E questo perché mancano esse stesse di giustificazione, rientrando tutte nell’insieme di un’evidente incuria di preparazione e di mancanza di coordinamento, dovuta ad una generazione imprevidente riscontrabile a tutti i livelli, sia a Roma, che in periferia.
Queste lacune, è bene sottolinearlo, furono quindi le cause principale della tragedia di Taranto che però, lo ripetiamo, non si sarebbe verificata se non si fossero trattenute le navi agli ancoraggi, permettendo alla flotta nemica di scorrazzare in lungo e in largo nel Mediterraneo centrale, per poi concedergli il momento più opportuno per colpire.
Il Cavour risollevato dopo l’attacco con parti delle
torri e tutti i cannoni smontati.
Da saggio citato in riferimento
Infine, occorre considerare che la lezione di Taranto costituì anche la base di studio per l’attuazione del micidiale attacco giapponese contro la flotta statunitense del Pacifico, all’ancora nella base di Pearl Harbour, nelle isole Haway. Operazione che la Marina nipponica, studiò e pianificò basandosi sulle informazioni ricevute nel maggio 1941, durante la visita a Taranto di una delegazione con a capo l’ammiraglio Asaka Nomura, e dagli addetti navali a Roma e a Londra, e che realizzò il mattino del 7 dicembre 1941, con l’impiego di ben trecentocinquanta aerei decollati da sei navi portaerei.
L’ammiraglio Asaka Nomura, discute con il capitano di
vascello Carlo Rogadeo, comandante dell’incrociatore
Duca d’Aosta, maggio 1941 – da saggio citato in riferimento
Tuttavia, dal punto di vista dell’economia delle forze aeree impiegate e dalla media dei colpi messi a segno, l’impresa di Taranto superò di gran lunga quella attuata dai giapponesi contro Pearl Harbour, e resta nella storia della guerra aeronavale come un episodio dai risultati bellici di effetto straordinario. La vittoria di Taranto e quella di Pearl Harbour ebbero effetti strategici di grande portata per l’agevolazione e la riuscita delle operazioni sul mare e sui fronti terrestri da parte dei britannici e dei giapponesi. Tuttavia, mentre i nipponici poterono sfruttare interamente il vantaggio conseguito, con la menomazione della flotta statunitense, per raggiungere tutti gli obiettivi che si erano prefissati, arrivando in quattro mesi a dominare il Pacifico ed a raggiungere i confini dell’India e dell’Australia, i britannici, dopo il successo dell’operazione “Judgment”, non raggiunsero gli scopi che si erano prefissati.
Infatti, pur avendo messo una seria ipoteca per il controllo del “Mare Nostrum”, essi dovettero limitare l’estensione della loro travolgente avanzata in Libia e rimandare tutti i progetti operativi da attuare contro l’Italia, che riguardava la conquista di Pantelleria, di Rodi e, possibilmente, anche della Sicilia; impresa quest’ultima pianificata nel dicembre 1940 allo scopo di riaprire la loro navigazione commerciale attraverso il Mediterraneo. E ciò avvenne con le richieste di aiuto di Mussolini a Hitler, che avrebbe portato alla fine della formula della “guerra parallela”. Il Führer, dovette pertanto impegnare unità germaniche per tamponare le falle apertesi sui fronti dell’alleato meridionale. Iniziò la sua opera di soccorso nella seconda metà di dicembre inviando in Sicilia il 10° Corpo Aereo (X Fliegerkorps), una grande unità con circa duecentoventi velivoli particolarmente addestrati per la guerra sul mare, a cui seguì, a partire dal febbraio 1941, il trasferimento in Libia di reparti terrestri fortemente motorizzati (5a Divisione Leggera), che poi avrebbero costituito la prima aliquota della famosa Afrika Korps del generale Erwin Rommel.
Frattanto un’intera armata della Wehrmacht (12ª), sostenuta adeguatamente da reparti della Luftwaffe (8° Fliegerkorps) aveva cominciato ad affluire in Bulgaria, in previsione di un’offensiva tedesca contro la Grecia, poi attuata, rapidamente, nell’aprile 1941. Ma fu soprattutto l’impiego del X Fliegerkorps che permise alla Marina italiana di riprendere fiducia nelle proprie possibilità offensive, appannate dal disastro di Taranto, dal successivo inconcludente combattimento di Capo Teulada, e della ritirata del grosso della flotta nei porti del Mar Ligure, per tenerla lontana dalla minaccia aerea proveniente dall’Isola di Malta; minaccia che, determinando seri danni all’incrociatore Pola e alla corazzata Cesare causati dai bombardieri Wellington del 148° Squadron, aveva costretto le navi da battaglia ad abbandonare gli ancoraggi di Napoli per rifugiarsi in quelli ancora più lontani di La Spezia e di Genova.
HMS Illustrious con il ponte in fiamme durante l’attacco aereo
italo-tedesco su Malta il 10 gennaio 1941 – Copyright: © IWM.
Original Source: http://www.iwm.org.uk/collections/item/object/205143579 © IWM A 9793
Tuttavia l’intervento degli aerei tedeschi, che, con l’appoggio degli aerei italiani, nei giorni 10 e 11 gennaio 1941 inflissero alla Mediterranean Fleet una dura lezione, danneggiando gravemente con sei grosse bombe la portaerei HMS Illustrious, affondando l’incrociatore HMS Southampton e colpendo il gemello HMS Gloucester, servì a tener confinate nel bacino orientale del Mediterraneo le navi britanniche fino alla metà di aprile del 1941; ciò permise alla Regia Marina di riprendere fiducia nei propri mezzi e quindi di riassumere un certo controllo del Mediterraneo centrale, con grande beneficio per la sicurezza del traffico con la Libia, che nel corso dell’inverno, in particolare tra la metà di novembre e la metà di gennaio, erano apparse seriamente minacciate.
Franco Mattesini
Estratto dal saggio dell’autore pubblicato su Accademia https://www.academia.edu/34935127/LA_NOTTE_DI_TARANTO
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In anteprima foto della corazzata italiana RN “Duilio” semisommersa nel porto di Taranto dopo l’attacco britannico (Operazione Judgement). Per evitare che il Duilio affondasse, il comando portò la nave in acque poco profonde. Un mese dopo, la nave fu riportata in galleggiamento ma ci vollero sei mesi per ricondizionarla – USMM
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Francesco Mattesini, nato ad Arezzo (Italia) il 14 aprile 1936 si è trasferito a Roma nel luglio 1951. Ha prestato servizio, come dipendente civile, allo Stato Maggiore dell’Esercito, 4° Reparto, dal 1959 al 2000. E’ collaboratore degli Uffici Storici della Marina Militare e dell’Ufficio Storico dell’Aeronautica per i quali ha prodotto venti libri e circa sessanta saggi.