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L’amministrazione Trump e il Mare Artico

15 Gennaio 2025

Interessante approfondimento dal sito Difesa on line a cura di Giuseppe Morabito

di Giuseppe Morabito

11/01/25 

Dopo la rielezione di Donald Trump, la sua promessa elettorale di porre fine rapidamente alla guerra tra Russia e Ucraina appare sempre più complessa perché la situazione in Ucraina continua a deteriorarsi a sfavore di Kiev e il Medio Oriente rimane una polveriera. Dopo i colloqui di queste ore sembra difficile immaginare che inviare più armi in Ucraina e imporre più sanzioni alla Russia possa avere successo nel raggiungere la pace.

L’esercito di Mosca continua la sua lenta ma costante inesorabile avanzata e quindi il presidente Putin potrebbe aver deciso che il suo paese dovrebbe cercare di raggiungere una vittoria militare russa più completa e, nel breve periodo, non tenere conto di qualsiasi apertura di pace occidentale.

Tuttavia, tra gli esperti, s’ipotizza che la nuova amministrazione Trump possa avere l’opportunità di rompere con lo status quo e convincere la Russia a porre fine alla guerra.

Questo dovrebbe includere sviluppi inattesi fino ad ora per quanto riguarda la questione del Mare Artico, una questione che sarà sicuramente messa l’attenzione dal presidente russo in occasione di un auspicabile tavolo di trattativa. Tale situazione potrebbe anche rivelarsi d’interesse per l’amministrazione Trump.

La partecipazione di Putin a una cerimonia di novembre per il varo del nuovo rompighiaccio nucleare Chukotka (foto seguente) ha suscitato poca attenzione nei paesi NATO, ma ha dimostrato l’attenzione di Mosca alla situazione strategica nella regione artica. La nave appare essere il più grande e potente rompighiaccio al mondo, con i suoi 173 metri di lunghezza e 33.500 tonnellate di dislocamento, ed è dotata di due reattori nucleari che forniscono 350 megawatt di potenza, consentendole di rompere uno strato di ghiaccio spesso quasi 3 metri.

Tali navi non sono economiche e la Chukotka ha un prezzo di circa mezzo miliardo di dollari.

La Chukotka è la quarta di una serie di rompighiaccio nucleari, con un’altra della stessa classe, la Yakutia, anch’essa in fase di completamento e una nuova chiglia che dovrebbe essere varata nel 2025. A ottobre, una classe ancora più ambiziosa di rompighiaccio nucleari ha ricevuto il via libera per la produzione in un cantiere navale vicino a Vladivostok, al costo di un miliardo di dollari, una somma importante per la situazione economica della Russia odierna che, s’ipotizza, non sia ottimale.

La destinazione dei rompighiaccio è verso la rotta del Mare del Nord (NSR – North Sea Route), una rotta marittima che corre a nord della Russia e collega l’Europa nord-occidentale all’Asia-Pacifico. Quest’anno, sono stati stabiliti diversi nuovi record nella NSR, tra cui la più grande nave portacontainer di sempre, che ha attraversato la NSR a settembre, e la maggior quantità di petrolio mai trasportata.

Per il governo russo che, come già scritto, s’ipotizza abbia alcuni problemi sia politici sia economici, l’Artico è sempre in cima all’agenda perché comprende circa il 10% del PIL russo e il 20% delle sue esportazioni. Gli analisti russi mirano a moltiplicare le esportazioni di risorse russe sulla NSR di sei o sette volte, fino a 200 milioni di tonnellate nei prossimi cinque anni. Sempre secondo un rapporto di metà 2024 la Russia avrebbe con certezza le risorse per alimentare questa enorme espansione delle esportazioni.

In aggiunta, le ambizioni artiche del Cremlino vanno ben oltre petrolio e gas. Come tutti i leader russi sanno, la crescita economica del paese è sempre stata ostacolata dal semplice fatto che la maggior parte dei fiumi giganti della Russia, come l’Ob, l’Enisej e il Lena, scorrono tutti verso nord nell’Artico. Quindi, una NSR funzionale che permetta una navigazione per tutto l’anno detiene logicamente la chiave per sbloccare un importante sviluppo nel vasto e ricco entroterra del paese e più in generale per la Siberia. Putin è ben consapevole che costruire carri armati e missili da soli non renderà la Russia forte e prospera in futuro ma questo mega-progetto potrebbe aprire tale possibilità.

Anche la Cina Popolare ha abbracciato la NSR attraverso la sua “Polar Silk Road” e ha cercato di collaborare strettamente con il Cremlino nell’Artico. Un documento cinese del 2024 ha sostenuto che Pechino dovrebbe garantire che le società cinesi e russe che investono nel corridoio di transito artico abbiano un esito quantomeno redditizio. I governi di Mosca e Pechino sono consapevoli che il passaggio artico difficilmente raggiungerà il potenziale totale senza il sostegno occidentale. A questo punto – e da più parti – si afferma che anche il concentrarsi sull’Artico avrà probabilmente l’effetto nel fermare la guerra in Ucraina. La rotta marittima a lungo ricercata attraverso l’estremo nord rimane uno dei pochi temi geo-economici relativamente concreti che il Cremlino predilige alla pari del futuro dell’Ucraina stessa.

Fondamentale è che un corridoio di trasporto di nuova concezione dinamica destini una certa percentuale degli ampi profitti, nei prossimi cinque decenni, alla ricostruzione delle infrastrutture distrutte dell’Ucraina. Questo flusso costante di risorse sarebbe forse da considerare come una forma di pagamento delle riparazioni a Kiev che ammonterebbe probabilmente a centinaia di miliardi di dollari.

Indubbiamente, la Cina Popolare sosterrebbe con forza questo piano ma anche un certo numero di altri paesi interessati, (Canada, Finlandia, Norvegia e Svezia a ovest, o Corea del Sud e Giappone a est), potrebbe trarre profitto dall’NSR, con il potenziale di allentare le tensioni globali in tutta l’Eurasia… Cina Popolare permettendo!

Anche alcune regioni degli Stati Uniti potrebbero trarne vantaggio economico, tra cui l’Alaska, ovviamente, ma anche i porti del nord come Seattle e Boston. I paesi occidentali al tavolo per l’NSR, inoltre, significherebbero probabilmente standard ambientali più convincenti.

Affinché quest’accordo abbia risultati significativi, gli Stati Uniti dovrebbero comunque revocare le sanzioni applicate ai progetti NSR. La dichiarazione di Trump, nei giorni scorsi, sulla possibile occupazione da parte americana della Groenlandia appare solo come una provocazione propagandistica.

Durante la precedente amministrazione Trump, il presidente ha compiuto alcuni gesti importanti in politica estera e ha assunto alcuni rischi politici per ottenere la pace. Di sicuro, le difficili questioni relative ai diritti dei cittadini nell’Ucraina orientale e l’architettura di sicurezza ancora da definire per l’Europa orientale rimarranno di primaria importanza in qualsiasi accordo. Tuttavia, i negoziati per la pace in Ucraina con una sostanziale componente artica potrebbero ottenere il favore di Trump e avere successo. L’abbraccio a quest’accordo commerciale su larga scala da parte di Trump potrebbe non solo aiutare a riportare la pace nell’Europa orientale, ma potrebbe anche rivitalizzare le prospettive del continente in generale.

La regione artica, si sa per certo, è ricca di materie prime e risorse energetiche e, se diventasse completamente libera e transitabile tra i ghiacci durante tutto l’anno, consentirebbe l’apertura alcune vie marittime decisamente più vantaggiose e brevi rispetto alle rotte atlantiche o del Mediterraneo. Questo soprattutto in seguito all’attuale crisi nel Mar Rosso, al conseguente possibile declino del Canale di Suez e ai sempre maggiori limiti del Canale di Panama (che il presidente Trump ha minacciato di occupare con la forza e questa potrebbe essere qualcosa di più di una provocazione). In particolare, molte navi da trasporto provenienti dalla Cina Popolare, e non solo, dirette in Europa, preferiscono, al momento circumnavigare il continente africano allungando di molto i tempi dei cicli trasporto e le spese di carburante.

Per concludere, atteso che la “rotta artica” rappresenta una sfida importante per i “Paesi artici” dal punto di vista commerciale, geopolitico e ambientale, è invece una potenziale minaccia per l’Italia, i cui maggiori porti verrebbero tagliati fuori dalle principali rotte percorse dai traffici mondiali. Difficile pensare che la grande maggioranza delle navi portacontainer decida di entrare nel mediterraneo dallo stretto di Gibilterra in direzione di Trieste o Genova. Appare più facile e redditizio attraversare il canale della Manica e dirigersi, per scaricare le merci dirette in Europa, ai porti di Rotterdam, Anversa e Amburgo.

Foto: U.S. Army / Cremlino / web / China MoD

FONTE: Difesa on line

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