Il 12 ottobre 1940 il cacciatorpediniere italiano veniva affondato durante la battaglia di Capo Passero, contro la Royal Navy britannica. Il relitto della nave è stato ritrovato al largo dell’isola di Malta, perfettamente conservato. Le immagini esclusive, la storia dimenticata.
testo di GIANLUCA DI FEO – multimedia a cura di VISUAL LAB
ROMA – Una piccola grande nave, finita in mezzo all’intera flotta nemica. Una storia di audacia e sfortuna, dove eroismo e dramma si intrecciano come spesso accade nelle guerre. Ma quella del cacciatorpediniere Artigliere, lanciato in una notte di luna dell’autunno 1940 contro una schiera di corazzate, incrociatori e portaerei britanniche, è una leggenda del Mediterraneo. Poco più di 250 uomini su un guscio di acciaio, che fanno il loro dovere fino all’ultimo, anche dopo la morte del loro comandante, rimasto in plancia nonostante le ferite per incoraggiare l’equipaggio. Prima combattono per vincere, ciechi contro il radar dei britannici. Poi scoprono di essere finiti in trappola e lottano per sopravvivere, su uno scafo squassato dalle esplosioni e divorato dagli incendi. Quando la nave cola a picco, porta con sé 132 corpi, trascinandoli nell’abisso più impenetrabile.
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Ora, dopo settantasette anni di oblio, l’Artigliere è tornato. Lo hanno scoperto a una profondità incredibile: una fossa di 3600 metri, a largo di Malta. È rimasto paralizzato nel momento estremo della battaglia. Sì, sembra quasi che il mare abbia rispettato il coraggio disperato di quegli uomini, salvando dalla corrosione il relitto. Le immagine strappate al buio dell’abisso sono straordinarie. Mostrano i tubi lanciasiluri inclinati per l’assalto. I cannoni puntati verso il cielo, per respingere gli aerei che si accanivano sulla nave già ferita. La torre prodiera piegata dalle bordate, dove hanno trovato la morte quasi tutti gli ufficiali. Persino la scritta di riconoscimento AR ha mantenuto il colore rosso e brilla ancora nella più profonda oscurità.
L’Artigliere è stato ritrovato lo scorso marzo dal team oceanico di Paul Allen, il co-fondatore di Microsoft, appassionato di esplorazioni sottomarine. “È stata una vera sorpresa”, racconta a Repubblica David Reams, responsabile delle attività nautiche di Vulcan, la fondazione creata da Allen per progetti filantropici e lo sviluppo di tecnologie innovative. La loro nave-laboratorio, il Petrel, stava testando i nuovi equipaggiamenti appena installati. Apparecchi che sfiorano la fantascienza: “Avevamo iniziato le prove del nuovo sonar a scansione quando è apparsa una sagoma anomala”. Il profilo di un vascello, a 3600 metri, dove finora nessuno era in grado di compiere ricerche. Un sottomarino robot l’ha raggiunto, trasmettendo immagini stupefacenti: “Non sembrava sommerso da 77 anni. Era poggiato sul fondo, perfettamente riconoscibile, senza corrosione, né incrostazioni, persino il colore della sigla era intatto”. Merito delle condizioni del mare in quella zona, con temperature e salinità ideali per la preservazione, conservando il cacciatorpediniere come un sacrario, in memoria dei caduti di quella che i libri chiamano “la battaglia di Capo Passero”.
Le caratteristiche della nave
L’ultima missione dell’Artigliere è cominciata al tramonto dell’11 ottobre 1940. Sono passati solo quattro mesi dall’inizio della guerra e la Regia Marina è nel piano della sfida per il dominio di quello che Mussolini chiamava “Mare nostrum”. Poche ore prima un aereo aveva avvistato una larga formazione inglese “a levante di Malta”, facendo scattare l’allarme nelle basi siciliane. Dal porto di Augusta salpano quattro caccia e tre torpediniere con il compito di stanare il nemico. L’Artigliere è l’ammiraglia di quelle squadriglie d’assalto. Una nave moderna, lunga 106 metri, con un dislocamento di 2500 tonnellate, quattro cannoni da 102, sei lanciasiluri e otto mitragliere: il suo motto è “Sempre e ovunque”. Tre mesi prima aveva partecipato allo scontro di Punta Stilo e il comandante era già famoso: Carlo Margottini, un ufficiale decorato, veterano della Grande Guerra e del conflitto in Spagna.
Il capitano
In quella notte Margottini dispone le sue navi “a rastrello”, cercando di individuare gli avversari. Un’ora dopo la mezzanotte la luna illumina la sagoma inconfondibile di un incrociatore britannico: è l’Ajax, protagonista nel Mar della Plata del primissimo duello con la marina hitleriana. I suoi dodici cannoni non spaventano le tre piccole torpediniere italiane, che vanno all’attacco una dopo l’altra lanciando i siluri.
Ma l’Ajax ha un’arma segreta: è l’unica unità inglese nel Mediterraneo dotata di radar, un apparato sperimentale capace però di squarciare la notte anche a novanta chilometri. Evita i siluri, poi apre il fuoco con precisione mai vista prima. Le torpediniere vanno avanti, si spara anche a cento metri di distanza. “Più che una battaglia è stato un corpo a corpo”, ha scritto il Tempo nella prima cronaca dell’evento. Sono venti minuti di bordate letali che massacrano l’Airone e l’Ariel. Pure i quattro caccia italiani si gettano nella mischia, combattendo sempre più vicino. “Una corsa spavalda nella fauci della morte”, l’ha definita Carlo Quintavalle riportando il racconto di un testimone: “Come la carica disperata dei lancieri di Balaklava in Crimea”.
L’Artigliere gravemente danneggiato durante lo scontro notturno del 12 ottobre 1940
Volano proiettili in ogni direzione. L’Artigliere mette a segno quattro colpi, che feriscono l’Ajax. Ma la replica dell’incrociatore è devastante: una raffica quasi a bruciapelo, che schianta le macchine e incendia la riserva di munizioni. A bordo è l’inferno. Ci sono fiamme ovunque. Gli ufficiali sono quasi tutti caduti. Il comandante è grave, ma insiste: “Non mollate!”. Le motivazioni della medaglia d’oro, nella retorica littoria, riportano: “Esempio di spirito aggressivo che non conosce ostacolo, portò arditissimamente la propria unità all’attacco ravvicinato. Margottini, sebbene colpito a morte, prodigava ancora parole di incitamento alla sua gente e spirava sulla plancia invocando un’ultima volta il nome della Patria”. E i superstiti non cedono. Per ore lottano contro i roghi e cercano di salvare la nave. Riescono a riparare un motore, che poi si blocca. Un altro caccia tenta di rimorchiarli. Gli inglesi però stanno arrivando, in massa.
L’Ajax era solo la vedetta esterna dell’intera Mediterranean Fleet, impegnata nella scorta a un convoglio. Ci sono quattro corazzate, due portaerei, sei incrociatori, sedici caccia. Dalle sette del mattino cominciano gli attacchi dal cielo contro le due navi italiane, che si difendono come possono. Un’ora di incursioni, senza tregua. Quando in lontananza l’orizzonte si riempie dei fumaioli della grande flotta, il secondo caccia taglia il cavo e si ritira.
L’Artigliere è solo, immobile. Il maggiore Mario Giannettini, l’unico ufficiale incolume, non vuole arrendersi e ordina l’autoaffondamento. L’incrociatore pesante York gira intorno alla preda. Con le bandiere trasmette il segnale di abbandonare la nave. Poi ripete l’intimidazione con un proiettile davanti alla prua. I feriti vengono calati nelle scialuppe, gli altri si buttano in acqua assistendo all’agonia del loro vascello. Il colpo di grazia è lungo, tante cannonate e infine due siluri, che fanno letteralmente saltare in aria lo scafo. Tutto fotografato minuto per minuto, con immagini diffuse sui giornali del Commonwealth, che aprono le prime pagine con la spettacolare distruzione dell’Artigliere: dopo mesi di disfatte, gli inglesi avevano bisogno di un successo da propagandare.
La flotta britannica non raccoglie i naufraghi; soltanto il caccia Vampire ne carica ventidue, tutti gli altri restano in mare. Teme che ci siano sottomarini in zona e si allontana a tutto vapore. L’ammiraglio in capo però fa trasmettere due messaggi radio su più frequenze con la posizione delle scialuppe: “Quegli italiani hanno combattuto bene“. Un gesto di clemenza criticato da Winston Churchill in persona: “Questo genere di belle maniere infuria la gente che in patria sta sopportando l’ordalia”.
Per i sopravvissuti è l’inizio di un’odissea. I marinai dell’Artigliere, dell’Airone e dell’Ariel cercano di raggrupparsi: sono più di duecento, legano zattere e barche. Il mare sta crescendo, supera forza quattro; le nuvole si gonfiano e scatenano temporali violenti. Dalla Sicilia partono idrovolanti e motovedette. Ma quando cala la notte, le ricerche sono ancora infruttuose. Le onde invece non hanno pietà e alcune scialuppe si perdono nel buio. All’alba la Marina raddoppia gli sforzi e dopo 36 ore si riesce a raggiungere i superstiti. Solo cento uomini dell’Artigliere ce la fanno. Tra loro il faentino Vincenzo Ciolli, arruolatosi volontario a ventuno anni e ferito nello scontro. Ha dedicato il resto della vita all’acqua: bagnino della piscina comunale di Bologna, ha insegnato nuoto ai bambini fino agli anni Ottanta. Si è spento nel 2012, a 94 anni.
I marinai rimasti per sempre sull’Artigliere venivano da tutta Italia. Atride Nigiotti era di Livorno: per lui nel 2012 i familiari hanno comprato una pagina del Tirreno: “Avevi poco più di vent’anni. La Regia Marina ti dette “disperso”, mamma ti ha aspettato tutta la vita. I tuoi fratelli, Tommaso e Cesare, vecchi rincoglioniti ti ricordano con immutato affetto”. “Quand’è sparito inghiottito dal mare Atride si era appena sposato: di lì a poco sarebbe diventato babbo, la moglie era incinta” – ha raccontato il fratello al giornale toscano – “Se in guerra dicono che tuo fratello risulta disperso al fronte, la speranza forse ha qualcosa alla quale aggrapparsi. Se invece, com’è accaduto per Atride, sei disperso in mare l’unica cosa in cui puoi sperare è che ti diano un corpo sul quale piangere”. Adesso almeno ci sono le immagini dell’Artigliere, monumento nell’abisso in ricordo di quei ragazzi mai tornati a casa.
Le immagini di un pezzo di storia della Marina militare italiana, che è anche la testimonianza di uno snodo cruciale del secondo conflitto mondiale nel Mediterraneo.
La storia dell’ Artigliere
4 novembre 1938
L’artigliere entra in servizio. Viene assegnato alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere, facente parte della II Squadra Navale.
1939
Attività addestrativa: l’ Artigliere effettua crociere nel Tirreno, in Africa Settentrionale e nel Dodecaneso.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella seconda guerra mondiale. L’Artigliere, al comando del capitano di vascello Carlo Margottini, è caposquadriglia della XI Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme ai gemelli Aviere, Geniere e Camicia Nera.
9 luglio 1940
L’artigliere partecipa alla battaglia di Punta Stillo, durante il ripiegamento della flotta italiana l’ XI Squadriglia avvista e attacca navi britanniche, lanciando infruttuosamente siluri insieme alle altre tre unità (Aviere, Geniere e Camicia Nera).
11 ottobre 1940
Nella notte dell’11 ottobre l’artigliere è chiamato a pattugliare, insieme alle tre unità della sua squadriglia e alle torpediniere della I Squadriglia (Alcione, Airone, Ariel) l’area ad est di Malta, alla ricerca di navi britanniche.
12 ottobre 1940 (tra l’1 e le 2 del mattino)
All’1.37 le torpediniere italiane avvistano l’l’incrociatore leggero HMS Ajax,parte di un ampio schieramento navale britannico. Ne deriva un violento scontro in seguito al quale vengono affondate l’Airone e l’Ariel: l’Ajax riporta invece danni non gravi.
12 ottobre 1940 (ore 2.10 – 2:20)
L’Aviere attacca l’HMS Ajax, ma viene centrato da diversi colpi e dopo aver riportato vari danneggiamenti, con vittime e feriti a bordo, è costretto a ripiegare verso le coste italiane.
12 ottobre 1940 (Ore 2.29)
L’Artigliere sferra l’attacco all’HMS Ajax, ma viene ripetutamente centrato dalla reazione dell’incrociatore: le riservette esplodono causando un violento incendio, mentre i colpi ricevuti causano danni e molte vittime.
12 ottobre 1940 (Ore 2.32)
L’Artigliere è fuori combattimento, oltre metà dell’equipaggio, tra cui tutti gli ufficiali di vascello, è già morta o ferita. Nel corso delle prime ore della mattina il “Camicia nera” prova a prenderlo a rimorchio, ma alle 8.10’ è costretto a ripiegare a seguito dei numerosi attacchi inglesi e abbandonare il cacciatorpediniere.
12 ottobre 1940 (ore 8.29)
L’incrociatore pesante York si allontana dalla flotta britannica per affondare l’Artigliere. Avvicinatosi alla nave italiana, spara un colpo davanti alla prua con il quale ordina di abbandonare la nave. Il comandante in capo, maggiore Giannettini, comunica a questo punto di abbandonare l’imbarcazione: tutti gli uomini capaci di farlo si tuffano in mare. Dopo l’evacuazione dei naufraghi l’incrociatore britannico colpisce ancora e affonda l’Artigliere (ore 9.15). Le perdite sono pesanti: su un equipaggio di 254 uomini, sopravvivono in appena 122.