La curiosa storia del Faro di Tévennec a cura di Paola Giannelli
di Paola Giannelli
Tévennec è una minuscola isola francese, poco più di uno scoglio, che ospita un vecchio faro, uno dei quarantotto che costellano il profilo frastagliato della regione di Finesterre, in Bretagna.
L’isolotto è adagiato su un corridoio di mare in cui i naufragi erano frequenti a causa delle correnti e di imponenti mareggiate. Non meraviglia, quindi, che i racconti tramandati su Tévennec inizino con la vicenda di un naufrago: sopravvissuto al mare, l’uomo raggiunse l’isola, ancora disabitata, per morirvi di stenti. Si può immaginare che il marinaio abbia cercato inutilmente di attirare l’attenzione delle imbarcazioni di passaggio, ma a causa delle insidie di quel tratto di mare, pochi vi si avventuravano.
Nonostante la prudenza dei naviganti, gli incidenti erano frequenti e le autorità francesi decisero di porvi rimedio con la costruzione di un faro che entrò in funzione verso la fine del 1800 quando Tévennec aveva già acquisito la nomea di isola maledetta. Si raccontava che le anime dei defunti vi facessero tappa e che la morte in persona si aggirasse su quel fazzoletto di scogli.
A presidio del faro si avvicendarono una ventina di guardiani che – con un paio di eccezioni – rinunciarono subito alla mansione, morirono in circostanze oscure o persero la ragione.
Un racconto era comune a tutti: durante le tempeste frequenti, l’isola sembrava abitata da fantasmi inquieti, in grado di produrre suoni spaventosi.
Il rumore era reale e la sua ragione è stata spiegata da una recente spedizione di speleologi. L’isolotto è percorso da un tunnel naturale: l’ingresso delle onde durante le tempeste provoca dei suoni inquietanti, simili a forti lamenti.
Nell’impossibilità di reperire personale per far funzionare il faro, nel 1910 il governo francese decise di renderlo automatico: fu il primo in Francia. Acceso giorno e notte veniva alimentato da considerevoli forniture di gas combustibile per ridurre i viaggi verso l’isolotto, a volte difficili per le condizioni del mare.
La storia di Tévennec sembrava destinata a concludersi con un faro solitario, su un’isola disabitata, presto dimenticato. Qualche anno fa, invece, un ente francese che si occupa del recupero e della valorizzazione dei fari di Francia, include Tévennec tra i fari di interesse storico.
Marc Pointud, il suo presidente, pensa di trascorrervi due mesi per riportare l’attenzione (e i possibili finanziamenti per il restauro) sul faro. Si trasferisce con le attrezzature che gli serviranno per rendere abitabile una stanza, vivere e aggiornare un blog. Anche se le comodità sono modeste, ed è quasi impossibile restare all’asciutto durante le tempeste, non demorde, porta a conclusione il suo soggiorno con la sola compagnia di due libri, ignorando l’effetto ipnotico, che si fa quasi tentazione e richiamo, delle acque in tempesta.
Curiosamente, il faro temuto per le urla e i lamenti soprannaturali ha insegnato il silenzio, perché – dopo i primi giorni – quei rumori che hanno fatto perdere il senno ad alcuni guardiani, le onde che si infrangono e i venti non si sentono più, quasi scompaiono dalla percezione, pur essendo sempre presenti. Resta il colloquio con se stessi, che diventa una particolare forma di silenzio:
“Il silenzio è un abisso personale di redenzione. È l’alfa e l’omega del pensiero”.