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Emergenza sott’acqua, il dottore degli abissi

23 Dicembre 2024

Tenente di vascello Moccia: “Barotraumi, patologie da decompressione, ‘effetto Martini’: una diagnosi ‘immaginata’ prima che il paziente riemerga segna la differenza tra la vita e la morte. Il medico iperbarico di Marina è un professionista con leadership militare”

23 dicembre 2024 Viviana Passalacqua – foto di Gianluigi Angiulli

Attività duali e complementari

​​​“Il mondo subacqueo ha le sue leggi. In immersione cambia tutto, ci sono altre regole e diversi equilibri, ma il corpo umano è magnifico, sa adeguarsi. Scatta il ‘diving reflex’ o “riflesso di immersione”, una serie di adattamenti fisiologici che si attiva in acqua quasi come per proteggere gli organi vitali: i battiti rallentano e i piccoli vasi periferici si contraggono, seguendo gli imperativi di una bradicardia auto-indotta per risparmiare ossigeno e calore. Inoltre, aumenta pian piano la pressione arteriosa, il cosiddetto “blood shift” (passaggio di sangue) fa sì che il flusso sanguigno si reindirizzi dalle estremità al torace. Paradossalmente i brividi di freddo arrivano insieme a una sensazione improvvisa di relax e di comfort, mentre a profondità più elevate l’azoto potrebbe influire sulla capacità di giudizio”. Pro e contro dell’underwater, dimensione unica che alterna il fascino alle sfide, anche in termini di sanità: ce ne parla il tenente di vascello Enrico Moccia, ufficiale medico chirurgo esperto in medicina subacquea e iperbarica, in forza al Comando Raggruppamento Subacquei e Incursori “Teseo Tesei” (COMSUBIN) della Spezia.

Origini napoletane e ‘con il mare nelle vene’, Moccia è un dottore particolare in un reparto d’élite: ha fatto suo il motto del Corpo Sanitario Militare Marittimo “Per undas ad valetudinem tuendam“, ovvero “Sulle onde a tutela della salute”, scegliendo di occuparsi anche di chi in quei flutti si immerge totalmente, come i Palombari e gli Incursori della Marina Militare.

Nel 2013 vince il concorso da ufficiale medico dei ruoli normali, si aprono le porte dell’Accademia Navale di Livorno e realizza il sogno vagheggiato da bambino: diventa un ‘dottore in divisa’, connettendo le passioni personali per la subacquea e per la sanità, sulla scia dei racconti della vita militare di suo nonno. Una figura a tutela della salute come elemento di congiunzione e garanzia fra acqua, terra, aria e persino spazio, perché “L’ambiente sottomarino – ci spiega – è molto simile a quello dello spazio, non a caso gli astronauti si addestrano in piscina.  ‘Dalle stelle marine alle stelle del cielo’ non è solo una metafora, è un concetto altamente rappresentativo di come la subacquea e lo spazio siano legati. In entrambe le dimensioni, come noto, si simula la condizione di microgravità essenziale per gli astronauti che andranno nello spazio”.

Qual è il percorso dell’ufficiale medico di Marina e come ci si specializza in medicina subacquea iperbarica?

Nel mio caso, dopo il concorso si entra in Accademia già come appartenenti al Corpo Sanitario. Per arrivare al traguardo della laurea ho vissuto sette anni intensissimi, da militare e da studente: l’iter accademico è quello svolto in convenzione con l’Università di Pisa, allo stesso tempo si porta avanti l’addestramento tipico della Forza Armata. Specifico che da medico è possibile indossare le stellette anche tramite il concorso a nomina dire​tta per laureati in Medicina e chirurgia, lavorando in un’istituzione stupenda come la Marina Militare e valendosi, proprio come gli ufficiali dei ruoli normali, di tutte le opportunità connesse a questa chance: io ho deciso autonomamente di seguire il master post lauream di II livello in Medicina subacquea e iperbarica organizzato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, un impegno di 2 anni che fra tirocini e lezioni, alcune seguite anche a bordo delle navi sulle quali ho prestato servizio, ha richiesto tanta tenacia e forza di volontà, e che ovviamente ha dato i suoi frutti. Attualmente, tuttavia, si può optare per questa stessa branca grazie a una convenzione stipulata dalla Marina con l’Università di Padova. Il ventaglio di occasioni è variegato, le attività proposte sono davvero molte, ad esempio io ho potuto studiare ed effettuare il test cardiopolmonare da sforzo presso l’Ospedale Monzino di Milano.

Quali possono essere le emergenze sanitarie in immersione?

Come detto, per il corpo umano l’underwater è una sfida, una sorta di ‘richiesta’, alla quale fisiologicamente dobbiamo ‘rispondere’. Le patologie e le variabili sono pressoché infinite, le variazioni di pressione ambientale hanno effetti incisivi sotto tutti gli aspetti: dall’apparato respiratorio a quello cardiocircolatorio, nervoso e gastrointestinale. L’acqua fredda riduce il nostro calore corporeo interno fino a circa 5 volte in più di un’esposizione alla stessa temperatura, ma all’aria; l’aumento della pressione idrostatica modifica temporaneamente le capacità dell’occhio, tanto che – per un operatore subacqueo – gli oggetti possono sembrare più grandi e più vicini. Le modificazioni volumetriche dei gas rispetto alla pressione atmosferica possono generare i cosiddetti barotraumi, ossia traumi all’orecchio, ai seni paranasali.  Immergendosi con miscele a base di azoto, come l’aria, si può verificare poi il famoso ‘effetto Martini’: una narcosi da azoto che ci rende ebbri, proprio come se – ogni 15 metri di discesa negli abissi – bevessimo un bicchiere dell’alcolico da cui prende il nome questo fenomeno, con relative conseguenze su umore, orientamento, coscienza.

Come lavora un medico subacqueo iperbarico e qual è la prima cosa da fare in caso di criticità?

Siamo pronti a tutto: garantiamo la sicurezza sanitaria delle attività pre e post immersione, curiamo il profilo compressivo, ma soprattutto quello decompressivo dei sommozzatori, dei palombari, degli incursori e di qualunque operatore subacqueo, raccomandando sempre una risalita in superficie lenta, per ridurre il margine di rischio della formazione di bolle gassose di azoto al diminuire della pressione atmosferica. Interveniamo dietro le quinte, quando è necessario trattare un paziente a terra, magari in camera iperbarica che è posizionata sempre nei pressi, sulla costa. Ma lavoriamo anche in prima linea, prestiamo assistenza sanitaria sui mezzi di superficie in mare spesso con l’infermiere agli operatori subacquei che, di giorno o di notte, affrontano immersioni particolarmente impegnative, come le bonifiche dei fondali e gli sminamenti. La prima cosa da fare, l’aspetto preminente che fa la differenza tra la vita e la morte, tra la guarigione completa o l’insorgere di danni permanenti, è la diagnosi: va immaginata prima che il paziente riesca a raggiungerci, da solo o perché aiutato dai colleghi. Ci si concentra sulle eventualità, si pensa già a una possibile soluzione, al protocollo di rianimazione. La lotta contro il tempo è determinante, la visita va effettuata immediatamente, spesso anche senza l’ausilio delle apparecchiature ospedaliere che conosciamo e che sarebbe impossibile portare a bordo. Ovviamente abbiamo sempre a disposizione il nostro zaino d’emergenza e i presidi necessari per un intervento precoce sul campo. Ci si affida alle proprie mani, al senso clinico: io da medico amo applicare la semeiotica, una disciplina che aiuta a gestire la situazione tramite l’osservazione di segni e sintomi.

Differenze tra un dottore in divisa e un medico civile?

Le stellette ci danno una marcia in più. La formazione militare è valore aggiunto, a tutto vantaggio del problem solving: posto che avere una vita tra le mani è sempre un onore e un sacrificio, umanamente e professionalmente, in Forza Armata siamo abituati a gestire le problematiche tipiche di condizioni estreme: dai teatri operativi all’estero alle dotazioni sanitarie ridotte di una nave, passando per la difficoltà della logistica in situazioni ostili e delle conseguenti tempistiche di stabilizzazione e messa in sicurezza del paziente, impariamo subito il valore della resilienza, del mettere a frutto le risorse disponibili, anche se poche. Decidere in fretta, sotto stress e nel migliore dei modi è una derivazione diretta della leadership militare, un imprinting unico, preziosissimo, che ci distingue. La Marina Militare in tal senso è meravigliosa: offre corsi professionalizzanti per la gestione dei limiti di una nave rispetto alle potenzialità di una struttura su terra. Impariamo a lavorare in squadra, a restare lucidi, operativi di default. Siamo formati per avere responsabilità importanti che coinvolgono tutto l’equipaggio, e per farcene carico: comando e gestione, è questo lo step in più, la differenza che dipende solo da te. Il dottore a bordo è Dirigente del Servizio Sanitario, un consulente essenziale per il Comandante della nave che, alla fine, decide se appoggiare le sue scelte: con i miei Comandanti siamo andati sempre in un’unica direzione e con loro ho stretto un rapporto prezioso e di stima reciproca.

Anche il paziente militare ha caratteristiche specifiche?

Certamente, è diverso a livello clinico, psicologico, da militare riesce a comunicare in modo chiaro e trasparente, senza cedere all’ansia. I colleghi sono anche i nostri pazienti, e siamo una famiglia, diversamente da quanto potrebbe accadere per mille ragioni negli ospedali civili. Qui abbiamo l’occasione di trascorrere del tempo in affiancamento per le rispettive attività, quindi di conoscerci: questo ti rende un riferimento importante, sei il loro medico, sono grati della diagnosi. Come sempre, il rispetto va guadagnato, e l’emozione di riuscirci è indescrivibile. Siamo militari in un mondo di sfide quotidiane, ci motiviamo a vicenda, ognuno contraddistinto dalle sue specificità, ciascuno con il suo ruolo importantissimo e irrinunciabile. La consapevolezza, per tutti, è che siamo qui per un motivo. Dobbiamo farlo valere. Lavorare al Comando Raggruppamento Subacquei e Incursori (COMSUBIN) è un viaggio straordinario, tra colleghi straordinari.

L’esperienza che l’ha messa maggiormente alla prova?

In Mediterraneo Centrale, a bordo di una Nave. Quando mi hanno avvisato dell’emergenza ero in infermeria: una situazione estrema, temevamo per la vita di una persona, siamo riusciti a stabilizzarla e riportarla a terra in salute con la procedura della ‘medical evacuation‘ in elicottero. Sempre in quelle acque ma in un’altra occasione, durante l’operazione “Mare Sicuro”, abbiamo salvato dei pescatori che si erano sentiti male su un peschereccio. Ricordo ancora quando li richiamai: avevano cercato di contattarmi per ringraziarmi. Che dire… una gioia immensa, da medico, ascoltare queste parole. Salvare vite in condizioni estreme è il nostro core business, è il tratto distintivo del medico di Marina. ​​​​

FONTE: Notiziario on line della Marina Militare

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