Amerigo Vespucci, il dietro le quinte: Cristina D’Antonio e Maki Galimberti sono gli autori di questo reportage, che trovate su GQ di settembre 2021, in edicola il 24 agosto.
Le amache. I turni. La promiscuità. La fatica. Se c’è un luogo dove non si discrimina tra uomini e donne, questo è l’Amerigo Vespucci, la nave scuola della Marina Militare. Il reportage di GQ
A volte la normalità è nascosta in un pacchetto di patatine che ci si divide in un momento di pausa. O nella memoria del capitano di vascello Gianfranco Bacchi, che saluta ognuno dei suoi 260 marinai per nome e cognome, senza sbagliare mai. Magari nella scoperta di un nuovo senso di famiglia: allargata, di stampo antico, dalle regole ferree, capace di accogliere tutti. Sull’Amerigo Vespucci, al maschile, perché deriva dal prefisso RL, Regio Legno, uomini e donne sono un corpo solo. Per indole, per scelta, per educazione, e anche per necessità: nessuno si salva da solo, tanto più se si vive in mare. Le donne che compaiono in queste pagine − nocchieri e marinai VFP1, volontari in ferma prefissata di un anno − hanno scritto cosa pensano e come si sentono mentre attraversano il Mediterraneo. Messaggi in bottiglia che arrivano a destinazione quando il veliero si avvicina alla costa e le comunicazioni tornano operative: partita all’inizio di luglio con i nuovi 118 allievi della 1ª classe dell’Accademia Navale, di cui 14 stranieri, la nave stava facendo rotta verso Castellammare di Stabia, dove è arrivata il 9 agosto per festeggiare i 90 anni dal varo.
Giusy Bassano, nocchiere (foto Maki Galimberti)
Francesca Rosadoni, VFP1 (foto Maki Galimberti)
Dal 2000, da quando cioè le Forze Armate hanno aperto le porte alle donne, la componente femminile in divisa è progressivamente aumentata anche in Marina. Si è invece dovuto aspettare il 2016 perché venissero predisposti degli alloggi dedicati a bordo della Signora dei Mari, detta anche La Più Bella. Ancorata a Rouen per le celebrazioni per il bicentenario della Rivoluzione Francese di fianco alle navi scuola del resto del mondo − dall’argentina Libertad alla tedesca Gork Foch, alla francese Belem −, aveva, sottobordo, una fila infinita di aspiranti visitatori: era il 1989, e si registravano 11.000 presenze al giorno. Oggi, causa Covid, non si può fare altrettanto, ma il fascino resta intatto. Centouno metri di lunghezza per 4.146 tonnellate di dislocamento a pieno carico, 29 vele in tela olona, di cui 25 operative, per 2.635 metri quadri, oltre 36 chilometri di lunghezza il totale del cordame utilizzato a bordo: «In 100 metri di scafo si trova tutto il necessario per la crescita di un marinaio. Legno, canapa, manilla, acciaio, vento e onde: sono gli attrezzi della palestra in cui formarsi nell’esperienza più intensa della propria vita», crede Bacchi, salito a Le Havre come allievo il 4 luglio 1989, ufficiale della Vespucci da quasi due anni e autore di Il punto più alto, libro fresco di stampa che racconta come si è viaggiato nell’Italia del lockdown. «Le diversità sono potenziali elementi di forza, che riguardano però l’individuo, non il genere», dice. «Le donne hanno completato un gruppo che prima viveva solo al 50% in termini relazionali e, sotto certi aspetti, anche emotivi: dopo due decenni di “promiscuità lavorativa” tra sessi è difficile parlare di vantaggi e criticità; ormai è un dato di fatto, una realtà alla quale sarebbe difficile rinunciare».
Virginia Salomone, VFP1 (foto Maki Galimberti)
Valeria Giove, VFP1 (foto Maki Galimberti)
Arianna Carbonara e Giusy Bassano sono nocchieri, addetti alle manovre in coperta, mani incallite dal manovrare le vele, comprese quelle da spiegare solo in circostanze specifiche: la zizzadimonaca sulla vergasecca di mezzana, gli scopamare sul trevo di trinchetto e i coltellacci sulle gabbie. «Sono qui perché mia madre incontrò a scuola una ragazza in divisa, in visita ai suoi ex professori», ricorda Carbonara. In forza sulla nave da quattro anni, ammette che «la capacità di incastrarsi in abitudini e spazi costruiti a misura di uomini non è del tutto naturale», ma che ogni cosa è migliorabile. «Capita di essere in operazioni che ci tengono lontano dai nostri affetti, senza possibilità di comunicare: una condizione che da un lato ci rende alieni al mondo della terraferma, ma che fa nascere fra noi, membri dell’equipaggio, legami indissolubili». «Bisogna essere consapevoli di ciò che si ama e di ciò che si è disposti a sacrificare», aggiunge Giusy Bassano. Il sonno, per esempio, le cui ore sono distribuite in maniera diversa. «La vita in mare è roba forte, che fa sognare le persone, ma talvolta si sottovalutano l’effetto delle partenze improvvise o le difficoltà dovute a una navigazione più lunga del previsto. Se volete una parola chiave, è adattamento».
Virginia Salomone, una degli VFP1, viene dalla montagna, da «un posto dove non si parla spesso di marinai. Quando torno, e racconto cosa mi succede, non sempre vengo capita. Non importa: ho sempre la mia seconda famiglia, quella della nave, con la quale ho capito il valore del passaggio da soggetto singolo a componente di una squadra». «Ho iniziato con i concorsi a 16 anni e non mi sono mai arresa», dice invece Francesca Rosadoni, anche lei VFP1. «Al momento sto vivendo l’esperienza da marinaia e spero di poterla fare presto da allieva: il mare ti forma la mente in maniera diversa dalla terra; si cresce in una prospettiva che condiziona inevitabilmente il comportamento».
Il capitano di vascello Gianfranco Bacchi. Al comando dell’Amerigo Vespucci dall’8 ottobre 2019,
ha appena pubblicato Il punto più alto (Edizioni 5 terre, pagg. 256, € 20). (foto Maki Galimberti)
Già: ma come fanno, in definitiva, i marinai? In amore, fanno come possono. Nella missione di una vita, si fanno i muscoli. Perché uomini e donne ricoprono le stesse mansioni, hanno identici doveri, si sottopongono a uguali fatiche. Osservano le stelle con il sestante, maneggiano pesanti vele, si addestrano alla voga manovrando remi in legno. «Provengo da imbarchi su diversi tipi di nave: unità di squadra, cacciamine, navi oceanografiche», conclude il nocchiere Paolo Flavio Murtas. «Ma sull’Amerigo Vespucci sperimento la propensione a “fare bene le cose”, l’amore per i particolari, verso la tradizione e l’esperienza silenziosa». È questo il succo della storia: l’Amerigo Vespucci è una nave scuola che ha più anni di qualunque marinaio o cadetto abbia avuto l’onore di appendere l’amaca di fronte al proprio armadietto, sospesa fra due barre a due metri dal pavimento. Ha effettuato 71 crociere d’istruzione, attraversato i cinque continenti, percorso oltre ottocentomila miglia. Ha un nome da maschio, ma la determinazione di una donna.
I nocchieri Paolo Flavio Murtas e Arianna Carbonara. La nave Amerigo Vespucci ha attraversato 90 anni di storia italiana,
è uscita indenne dalla Seconda guerra mondiale e ha formato generazioni di ufficiali: considerata una “ambasciata galleggiante”,
può essere sede di incontri diplomatici