Una nota dal sito Difesa on line a cura dell’ Avv. Marco Valerio Verni, che a mio parere va divulgata.
(di Avv. Marco Valerio Verni)
Mentre in queste ore si assiste, almeno in teoria, all’entrata in vigore, in Libano, del “cessate il fuoco” tra l’esercito di Israele ed Hezbollah, non si fermano le polemiche dopo la recente e, per certi versi, storica, decisione della Pre-Trial Chamber I della Corte Penale Internazionale del 21 novembre scorso, di accogliere la richiesta del suo procuratore capo in merito, in particolare, all’emissione di un mandato di arresto nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e del suo ex ministro della difesa, Yoav Gallant, oltre che del capo del braccio armato di Hamas, Mohammad Deif.
Nel mondo, come nel nostro Paese, si sono scatenate varie e contrastanti reazioni e, tra quelle di segno negativo, alcune, effettivamente, sono risultate sopra le righe, ben oltre quella che si potrebbe definire “critica giudiziaria”.
A livello italiano, a fornire una lezione di stile, almeno a parere dello scrivente, è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, il quale, pur criticando il merito del provvedimento in questione, ha altrettanto affermato che, comunque, all’occorrenza, l’Italia rispetterà il decisum della Corte dell’Aja.
Il titolare di via XX Settembre, all’indomani della decisione in questione, ha infatti affermato: “Ritengo sia una sentenza sbagliata, che ha messo sullo stesso piano il presidente israeliano e il ministro della Difesa israeliano con il capo degli attentatori, quello che ha organizzato e guidato l’attentato vergognoso che ha massacrato donne, uomini, bambine e rapito persone a Israele, che è quello da cui è partita la guerra. Sono due cose completamente diverse”, aggiungendo che “Da una parte c’è un atto terroristico fatto da un’organizzazione terroristica che colpisce nel profondo cittadini inermi, dall’altra c’è un Paese che a seguito di quest’atto va e cerca di estirpare un’organizzazione criminale terroristica. Poi, se vogliamo giudicare come Israele si è mosso a Gaza, quanto della forza usata fosse necessaria da usare, quanto dei danni collaterali, che fa senso chiamare in questo modo con delle vittime innocenti, quante migliaia ci sono state e quante linee rosse siano superate, è un altro discorso”.
Per poi chiosare affermando che “Non penso che la Corte Penale Internazionale dovesse intervenire con questa sentenza a tre. Ciò detto, se arrivassero in Italia dovremmo arrestarli perché noi rispettiamo il diritto internazionale”.
Il giusto connubio tra “critica giudiziaria” e, comunque, rispetto del provvedimento di una Corte cui – è bene ricordarlo – l’Italia non solo ha aderito, ma ha visto anche ospitare la stesura del relativo Statuto, avvenuta nel 1998, proprio nella sua capitale, Roma.
Ciò a differenza di altre dichiarazioni, rilasciate tanto da alcuni esponenti nazionali che internazionali che, all’opposto, oltre a gridare allo scandalo (che, di per sé, sarebbe, come detto, del tutto lecito, essendo ognuno libero di criticare anche un provvedimento giudiziario) hanno anche manifestato, da parte di chi le ha emesse, la ferma volontà di non rispettarne, all’occorrenza, il contenuto; in alcuni casi, lasciando presagire, addirittura, l’applicazione di sanzioni – avete letto bene, sì – nei confronti dei magistrati dell’Aja, o, ancora, sfociando in vere e proprie offese, che hanno visto la Corte essere accusata di antisemitismo o di essere “un giocattolo politico al servizio degli estremisti che vogliono minare la sicurezza e la stabilità del Medio Oriente”, fino all’evocazione di “un nuovo processo Dreyfus”.
Uno screditare, insomma, l’autorevolezza di un organo come quello in commento molto inopportuno (e si usa un eufemismo) e pericoloso.
In tale ottica, occorre fare, ancora una volta, un amaro plauso allo stesso procuratore capo presso la Corte Penale Internazionale, Karim Khan, che, nuovamente (la prima volta era stato costretto a farlo proprio all’indomani della richiesta dei mandati di arresto in questione), ha dovuto ricordare che se qualcuno dovesse, per l’appunto, superare il limite, arrivando ad ostacolare od impedire il lavoro della Corte, potrebbe egli essere costretto ad attivare la procedura di cui all’art. 70 dello Statuto della suddetta (Corte Penale Internazionale): “It is critical in this moment that my Office and all parts of the Court, including its independent judges, are permitted to conduct their work with full independence and impartiality. I insist that all attempts to impede, intimidate or improperly influence the officials of this Court must cease immediately. My Office will not hesitate to act pursuant to article 70 of the Rome Statute if such conduct continues”.
Come già ricordato in alcuni precedenti contributi qui2, tale articolo, rubricato “Reati contro l’amministrazione della giustizia”, statuisce che:
Occorre ricordare, per tornare ai mandati di arresto in questione, che:
- essi sono stati chiesti dall’organo inquirente, ossia il procuratore capo della Corte, che ha agito sulla base delle fonti indiziarie raccolte (e che, per giunta, riguardano “solo” i fatti commessi dall’ottobre 2023 fino al maggio di quest’anno);
- che costui, nel suo lavoro, è stato coadiuvato da un gruppo di giuristi di caratura internazionale;
- che, su tale richiesta, si è poi pronunciato un altro organo giudicante, che, evidentemente, ha trovato fondata la richiesta.
Ad ogni modo bisogna ricordare, parimenti, che qualsiasi persona indagata e, poi, eventualmente, imputata, anche di fronte alla Corte Penale Internazionale, deve ritenersi innocente fino a che non sia intervenuta, ed in via definitiva, una sentenza di segno contrario, ivi compresi, dunque, i destinatari dei mandati di arresto in commento.
1 https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/netanyahu-arresto-chi-di…
2 Vedasi ai seguenti link: 1) https://www.difesaonline.it/geopolitica/brevi-estero/la-procura-della-cp… 2) https://www.youtube.com/watch?v=WGdb3XHEW0Q