di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
…strappati al mare e mai più celebrati.
La notte di quei venti uomini che hanno preferito morire piuttosto che abbandonare il sommergibile con i vessilli italiani, dura 20.766 giorni. Finisce la guerra, ce ne sarà una seconda e poi il rischio del conflitto nucleare. E loro sempre lì sotto, tutti insieme, indissolubile legame tra la follia della guerra, l’eroismo e il sentimento della patria.
Ma qualcuno, 58 anni dopo decide di interrompere quella missione. Il governo italiano insiste e convince quello Jugoslavo che è ora di riportare in superficie il Nereide. Una bella idea, celebrare quei ragazzi, tornare a celebrare certi valori ormai dimenticati, magari sperare di restituire quei ragazzi ai nipoti che ne hanno solo sentito parlare come qualcosa di empirico. Gli eroi della Nereide.
Sommergibile Nereide (www.lavocedelmarinaio.com)Le operazioni di recupero, con tanto di troupe Rai al seguito, si concludono 42 anni fa come oggi, il 12 giugno 1972: i sommozzatori, a 37 metri di profondità, riaccendono i fari nel sommergibile e penetrano nel silenzio di quelle stanze immerse nell’acqua. Tutto è come un tempo. In alcuni locali c’è ancora persino l’ossigeno. Vengono recuperati dieci corpi scheletriti (gli altri sono fuoriusciti dalla falla), il diario di bordo, un binocolo, alcuni portamonete di cuoio con qualche spicciolo, piastrine di riconoscimento. Il Nereide viene portato in superficie, trainato al largo e distrutto per sempre con due siluri. Torna sul fondo, stavolta senza i suoi uomini. E per sempre.
Le dieci piccole bare di zinco, avvolte nel tricolore, sono imbarcate sul dragamine italiano “Mogano” sul quale ricevono tutti gli onori militari. Per i ragazzi del Nereide viene scelta come ultima destinazione il cimitero di Brindisi, il cui porto era stato base del sommergibile quasi 60 anni prima. Strappati dal silenzio e dalla pace di quel comune destino, perché un sommergibilista che muore in mare, lì sotto vuole restare, siamo andati a vedere dove sono finiti i giovani eroi.
Non ci sono lapidi, né bandiere, né medaglie. Dietro una pietra che non racconta l’enfasi di quel sacrificio né ricorda il valore di quella prima medaglia d’oro.
“Membri equipaggio smg Nereide affondato in Adriatico”, recita quasi in codice Morse la scritta, più fredda del marmo che la raccoglie in un angolo del nostro cimitero comunale.
Tutti e dieci in un loculo. Nessun accenno ai nomi, né alla provenienza di quei ragazzi, né al fatto che sacrificarono coscientemente la loro vita in nome di quella patria che oggi ci affanniamo pomposamente a celebrare. Strappati alla loro ultima casa sottomarina per richiuderli dietro
una lapide terrena, senza memoria e senza mare. Dice l’inno del sommergibilista:
“Andar pel vaso mar, ridendo in faccia a Monna Morte e al destino. E’ così che vive il marinar, nel profondo cuor del sonante mar”.