di Michele Fiorentino
La possente unità della Regia Marina fu impostata e costruita presso i cantieri navali Della Foce (Genova) il 18 luglio 1910. Una corazzata Dreadnought (mono calibro) appartenente alla classe Conte di Cavour. Il varo venne effettuato il 14 ottobre 1911, venne ultimata nel 1914 e il 17 maggio 1914 entrò in servizio.
La corazzata dislocava 23,088 tonnellate, lunga 168,9 metri, larga 28 metri. Alimentata da 20 caldaie, di cui 12 a combustione mista ( carbone e nafta) e 8 a nafta collegati a 3 gruppi di turbine Person che azionavano i quattro assi della nave. L’armamento principale era composto da n° 13 Cannoni da 305/46, disposti su tre torri trinate e due torri binate. N° 18 cannoni da 120/50, N°16 cannoni da 76\50, n°6 cannoni da 76/40 e da n° 3 impianti lanciasiluri. Il motto della nave era ”NON SI VOLTA CHI A STELLA E’ FISSO”.
La caratteristica della corazzata consisteva nel particolare impiego combinato delle torri trinate e binate in quanto erano state posizionate in simmetria con lo scafo per essere impiegate in tiro di fuoco simultaneo con cinque cannoni, sia in caccia che in ritirata e poter effettuare il brandeggio e fuoco con tutti i 13 cannoni in tiro di bordata su uno stesso lato.
La Corazzata venne dislocata presso la base di La Spezia e subito dopo il 26 maggio 1916 venne assegnata presso la 1^ squadra navale da battaglia di base a Taranto. Il 2 agosto 1916 la corazzata Da Vinci effettuava il rifornimento e imbarco munizioni per le artiglierie principali in quanto dal giorno successivo doveva svolgere esercitazioni di tiro di artiglieria con osservazione aerea. Dopo aver ultimato il rifornimento nelle prime ore del pomeriggio, con un ulteriore carico di benzina per i motoscafi, l’unità era pronta per salpare in pieno assetto di guerra. In serata, alle 22,30 il Comandante dell’unità CV. Sommi Picenardi rientrò a bordo constatando che tutto l’equipaggio era presente a bordo. Verso le 22.55 il silenzio venne spezzato da un forte boato proveniente da poppa, precisamente dai locali situati sotto la torre N°5. Il personale di guardia, accorso sul posto notava una consistente quantità di fumo uscire dalle grate del boccaporto della torre 5 e dalle condotte laterali dell’impianto di ventilazione.
Il Comandante, recatosi sul posto con il capitano di macchina diede ordine di allarmare l’equipaggio che dormiva e successivamente allagare i depositi di munizioni 4 e 5 situati al di sotto delle torri poppiere. L’equipaggio prontamente predispose l’uso delle manichette antincendio e in quel mentre echeggiava il suono d’allarme di incendio del deposito n°5. In breve tempo susseguirono dei brevi scoppi e subito dopo venne a mancare l’elettricità e il personale che prestava servizio a poppa dell’unità notava i bagliori di un forte incendio. Alle 22,30 una potente deflagrazione scosse l’intera nave e subito dopo la nave, squarciata a poppa imbarcava acqua velocemente, sbandando paurosamente su un lato.
Nel frattempo esplosero i depositi delle riservette dei pezzi secondari sviluppando notevolmente gli incendi a tal punto che le fiamme fuoriuscivano dagli osteriggi posti in coperta e sui lati dello scafo. La tremenda esplosione aveva aperto due grosse falle a poppa, sotto lo scafo, permettendo all’acqua di allagare velocemente i locali della nave. La notevole quantità di acqua imbarcata fece affondare velocemente e pesantemente la poppa della nave sul fondale, provocando l’innalzamento della prua violentemente, scaraventando in acqua molti marinari. Inoltre le pesanti catene delle ancore per causa del movimento sussultorio dello scafo caddero in mare investendo e uccidendo molti marinai presenti in acqua. Il rimanente del personale cercava disperatamente di salvare i compagni intrappolati all’interno dei portelloni chiusi e incatastati intanto la nave incominciava ad oscillare su un lato e in brevissimo tempo si capovolse, trascinando molti uomini sul fondale.
Gli uomini disperatamente si gettarono in mare e vennero travolti dall’enorme massa di acciaio della nave che si capovolgeva e si ritrovarono in un mare colmo di nafta e benzina incendiata la quale provocò gravi ustioni, e morte ai marinai, ivi compreso il Comandante della Corazzata che venne ripescato totalmente ustionato dalle motobarche, giunte sul posto dalle unità presenti in rada.
Le navi accesero i riflettori ed inviarono immediatamente i soccorsi usando tutti i loro mezzi a disposizione. Ai tanti tarantini accorsi sul posto, per soccorrere i marinai, appariva ai loro occhi lo scafo della nave completamente capovolto e avvolto dalle fiamme che lentamente affondava. In breve tempo, fra il ribollire delle acque e l’alto vapore sprigionato, la corazzata Leonardo Da Vinci affondava, posandosi sul fondale del Mar Grande. Si scorgeva la sola prora capovolta che fuoriusciva dal mare avvolta dal nero fumo. Su un equipaggio composto da 1995 uomini, morirono in totale 249 uomini, compreso il Comandante, e vi furono 75 feriti gravi. L’intera vicenda fu sottoposta sotto il segreto di stato e di conseguenza l’intera base fu assoggettata alle relative leggi di guerra.
La stampa venne censurata ma la rabbia inneggiava nel popolo tarantino che inerme assisteva al tremendo evento. Prontamente lo Stato Maggiore della Regia Marina nominò una commissione d’inchiesta composta dai Vice Ammiragli Rendina, Canevaro, Avallone e dal Tenente Generale Valsecchi, tecnici civili e politici in carica. Il loro ardito compito era quello di scoprire e stabilire le cause dell’esplosione, sottoponendo ad interrogazione l’intero equipaggio, il personale militare e civile addetto alle operazioni di imbarco munizioni e il personale preposto all’accesso nei depositi di munizioni. Dalle testimonianze e dalle relazioni venne riscontrato che durante la fase di imbarco delle munizioni molti uomini fumavano le sigarette e sul posto di lavoro era presente una notevole quantità di miscela di cordite oltre a vari materiali infiammabili, depositati nei locali adiacenti ai depositi di munizioni.
Inoltre le paratie dei depositi erano impregnati da fumi di nafta, dovuti alla scarsa ventilazione; attraverso questa inchiesta L’Ammiraglio Rendina si rese conto della notevole mancanza da parte dell’intero equipaggio e dagli addetti nel rispettare le poche norme di sicurezza, che in quei tempi erano quasi inesistenti, ma indispensabili al fine di evitare inneschi di incendio. In quel periodo, fortemente echeggiavano le voci di un attentato da parte di agenti austriaci infiltrati o da parte di traditori venduti per vile denaro. Queste voci vennero incalzate nel momento in cui alcuni agenti segreti italiani, all’interno dell’ambasciata austriaca a Zurigo ritrovarono in una cassaforte i documenti del nemico contenenti i piani di sabotaggio effettuati in Italia da parte di agenti austriaci e non.
Ma nel giugno 1917 il Parlamento italiano in base alle varie relazioni tecniche presentate, atte a descrivere le cause dell’esplosione della Corazzata Leonardo Da Vinci, conclamò e attribuì che le cause dell’esplosione non erano dovute ad un atto di sabotaggio del nemico ma bensì dovute alle mancate osservanze delle normative di sicurezza, adottate durante le operazioni di imbarco munizioni. Un grosso rospo da ingoiare per la Regia Marina.
Intanto la grossa corazzata con le sue 26.000 tonnellate giaceva capovolta sul fondale e la Regia Marina nominò una apposita commissione per studiare i vari progetti per effettuare il recupero. Fra i tanti ed interessanti progetti venne scelto il progetto del Generale del Genio Navale Edgardo Ferrati. L’ambito progetto consisteva nel chiudere le grosse falle a poppa dell’unità con l’ausilio di pontoni attrezzati per i palombari e successivamente collocare sullo scafo della nave, delle camere di equilibrio, per poter immettere aria compressa nello scafo e successivamente collocare numero sei grossi cilindri pieni d’aria, atti a far riemergere lo scafo.
Grazie all’ausilio di oltre 100 palombari, operai civili appartenenti alle regie maestranze arsenalizie e dopo migliaia di ore di lavoro in immersione ,riuscirono a prelevare le munizioni, tagliare le torri, i fumaioli, gli alberi e le sovrastrutture che ancoravano la nave al fondale. Il 15 Settembre 1920, dopo aver riempito di aria compressa i cilindri posizionati sui lati dello scafo, la possente nave riemerse e con molta cautela venne rimorchiata attraverso il canale navigabile in bacino, applaudito dal popolo tarantino.
(La corazzata capovolta condotta verso il bacino con molta cautela)
Per poter entrare la nave in bacino venne dragato e scavato il fondale antistante l’ingresso del bacino in modo da non incontrare alcuno ostacolo. La nave entrò in bacino e venne deposta sulle apposite selle create, picchettata con assi di legno e portata in secco. Furono chiuse tutte le falle presenti nello scafo e gli squarci sul ponte di coperta e tutti i boccaporti presenti e inoltre venne alleggerita dal materiale situato all’interno della corazzata.
(Foto Ufficio Storico Marina Militare – la nave in bacino messa a secco per i lavori successivi)
(La manovra di raddrizzamento della Regia Corazzata Leonardo Da Vinci)
Dopo quattro mesi di lungo lavoro la nave era pronta per uscire dal bacino che rivenne allagato consentendo all’unità di galleggiare . Il 24 Gennaio 1921 lo scafo della corazzata capovolta esce dal bacino ed entra nel Mar Piccolo dove venne effettuata la manovra di raddrizzamento dell’unità.
La grande e titanica operazione, filmata dai cine operatori dell’epoca e fotografata dai tanti foto reporter appartenenti a illustri giornali nazionali ed esteri riuscì in pieno, suscitando ammirazione in tutto il mondo. La complessa operazione, considerata un capolavoro di ingegneria navale, rappresentò un grande lustro per l’intera nazione e in particolare per i tanti specialisti del settore Militare e civile, umili italiani che con il loro grande lavoro dimostrarono la loro enorme professionalità tecnica al mondo intero. La nave per tanti motivi tecnici venne radiata definitivamente nel 1923 ma per sempre al suo nome resterà immortalato l’onore e l’ardore degli Italiani per averla risorta.