Dal sito Ocean4Future un po’ di storia a cura dell’Ammiraglio Andrea Mucedola

“Decima Flottiglia nostra che beffasti l’Inghilterra, vittoriosa ad Alessandria, Malta, Suda e Gibilterra …” così recita l’inno scritto dal comandante Borghese in memoria della “Decima MAS”, la Flottiglia della Regia Marina più gloriosa e più decorata della seconda guerra mondiale. Le loro azioni le abbiamo raccontate in molti articoli ma oggi voglio segnalarvi un articolo che affronta l’argomento da un’altra angolazione, non storica ma introspettiva, inteso a rendere giustizia a quegli Uomini, appartenenti alla Regia Marina italiana che erano inquadrati nella Decima Flottiglia MAS prima dell’8 settembre.

L’articolo, La casa dei Valori, pubblicato sull’autorevole rivista ARBITER nel numero di gennaio-febbraio 2025, non descrive le loro azioni ma vuole essere un viaggio nel loro pensiero e umanità. Come potrete leggere, non erano dei vanagloriosi o dei fanatici, anzi tutt’altro: erano ufficiali, sottufficiali, marinai e operai che, al di là del loro rango, erano uniti da profondi valori umani, potrei dire universali, che li accomunavano nella speranza di un mondo diverso, in cui le brutture e le ipocrisie che li circondavano sarebbero stati cancellati dal loro esempio … un esempio di abnegazione e di spirito di sacrificio da tramandare alle generazioni future. Per chi vorrà leggerlo, nell’articolo sono proprio loro a parlare, attraverso le pagine dei loro scritti post bellici, testamenti spirituali rivolti ad un mondo che speravano in cambiamento. Come scriveva Elios Toschi, inventore insieme a Teseo Tesei del siluro a lenta corsa: «… uomini comuni, come tanti altri, ma nel loro intimo differiscono dai più nel sentirsi ancora, in parte inconsapevolmente, il prodotto, o meglio gli ultimi discendenti di un’epoca di splendore che va lentamente morendo. Per gli uomini di quel tempo l’imperativo più immediato era quello di lottare in ogni campo con coraggio, tenacia, disinteresse personale, lottare per il piacere della lotta, per sentirsi vivi in un mondo sempre più conscio della supremazia spirituale dell’uomo. I miti, gli ideali di quegli uomini, erano l’eroismo, l’avventura, l’espansione e la conquista, la fede in Dio, nel Dio distaccato dalle gerarchie umane”.
Uomini che credevano negli ideali di Galilei, Garibaldi, Mazzini, Madame Curie, Don Bosco ed erano contrari ad ogni ingiustizia ed ipocrisia. Erano vicini alle sofferenze dei miseri ed avvertivano la spinta demagogica che spesso le sfruttava per fini politici e personali. Ritenevano che lo Stato dovesse avere un ordine, una disciplina, una moralità, e ritenevano che ciò dovesse avvenire in un quadro che consentisse all’Uomo, conscio dei suoi doveri, di godere della libertà come del dono più prezioso. Questi erano ideali che andavano ben oltre i miti della propaganda del Regime dell’epoca; combattevano la bassezza degli interessi personali con toni ben contrari alla rimbombante e vistosa propaganda di coloro che pensavano “di ritemprare lo spirito del popolo prima di avergli dato una cultura ed un’anima”.

Gino Birindelli
Nasceva tra quegli Uomini, “lo Spirito del Serchio” che l’ammiraglio Gino Birindelli, descrisse nel suo testamento spirituale con parole ancor oggi di fuoco: «La vera, essenziale, differenza fra il soldato e gli altri individui è determinata da due ragioni di fondo: egli è, e deve sentirsi, l’uomo della crisi, colui cioè che deve saper intervenire con chiarezza di idee quando tutto vacilla e tutti rischiano di perdere la testa; egli è l’uomo a cui si è messo in cuore un grandissimo amore, quello della Patria». Birindelli sosteneva che la Civiltà doveva basarsi sul rispetto di sé stessi e delle altrui opinioni e doveva avere lo scopo di incrementare il livello degli individui. “La Libertà e la Pace sono – solo e sempre – il prodotto dell’impegno duro, indefesso, doloroso degli uomini di buona volontà. La costruzione umana su cui si poggia la Pace ha, come chiave di volta, la Giustizia; quella su cui poggia la Libertà …” e, aggiungeva, il coraggio morale che deriva dall’onestà, dal senso del dovere, dalla meritocrazia e dall’impegno a tutelare i diritti umani di tutti. “Solo dove ogni atto è ispirato a vivo senso di responsabilità ci può essere ordine e democrazia.”.

Alla casa del Serchio, In alto da sinistra, in piedi, Teseo Tesei, Gustavo Stefanini, sconosciuto, Elios Toschi, Bertozzi, Mario Giorgini, Franzini, Gino Birindelli, Bruno Falcomatà, sconosciuto; in ginocchio, Calcagno, Cacioppo, Alcide Pedretti, Lazzaroni, Paccagnini e Lazzari.
L’articolo, che vi invito a leggere nella sua interezza, offre quindi una visione inedita di coloro che in silenzio e nella massima riservatezza combatterono una guerra difficile e dolorosa pur sapendo che era perduta in partenza in quanto l’Italia non era preparata a sostenerla. Decisero di combatterla lo stesso, fedeli nel loro giuramento di militari, con la speranza che alla fine della guerra avrebbero restituito agli Italiani un’Italia diversa, anche a costo della loro vita. Le loro parole possono sembrare anacronistiche in un mondo come quello attuale che ha perso molti di quegli antichi valori, precipitato in un decadentismo che rende l’essere umano sempre più debole e più facilmente manovrabile; un proseguo del Panem et circenses che portò le grandi civiltà al loro tramonto.
La cosa che colpisce è perché questi uomini straordinari siano ancora ingiustamente etichettati dall’ignoranza iconoclasta dei media per uno spregevole uso e consumo politico. Ricorderete il bailamme mediatico scatenato dalla scritta sulla maglietta di un noto comico durante una trasmissione televisiva: “Memento Audere Semper”, un motto in realtà dannunziano, attribuito dai mal informati media alla Xa Flottiglia MAS che, in realtà, non lo usò mai, restando sempre fedele al suo, “Per il Re e la Bandiera“.

Un errore curiosamente bipartisan, usato ancora una volta a scopi politici, di fatto un altro vulnus alla memoria di valorosi Italiani che diedero la loro vita per un’Italia migliore. A questo punto qualcuno potrà sollevare i tragici eventi avvenuti dopo l’8 settembre che seguirono quell’armistizio mal gestito che abbandonò vergognosamente il Paese nel caos più totale. Un periodo in cui, come sappiamo, avvennero orrori da ambedue le parti, dimostrando quanto in basso può scendere l’essere umano. Orrori che rileggiamo sulle pagine di storia più recenti, eventi avvenuti alle porte di casa nostra: nei Balcani, in Ucraina, fino all’inferno di Gaza. Guerre già scritte perché generate da errori politici ereditati e, a volte, commessi dopo la seconda guerra mondiale quando un mondo a pezzi cercava di ricostruirsi in un nuovo ordine mondiale.
Per capire le ragioni dei mali di oggi bisogna quindi conoscere la storia, non quella scritta dai vincitori ma quella basata su fatti reali, scevra da ogni influenza interpretativa; questo vale in tutte le epoche compreso il mondo attuale quando troppo spesso si fanno valutazioni istintive ed affrettate. Purtroppo, non bastano le immagini crude dei telegiornali, condite da commenti di abili reporter, per farsi un‘idea; bisognerebbe analizzare il contorno e soprattutto “andare sul posto”, parlare con le persone, comprendere le loro ferite interiori, immedesimarsi nel dolore di chi una terra non l’ha più o forse non l’ha mai avuta, quello che in termini giornalistici viene definito fact checking, quel processo di “verifica dei fatti” inteso a promuovere la veridicità delle informazioni. Nei conflitti moderni le fonti più accreditate sono quelle militari che queste cose le hanno vissute in diretta durante le tante missioni di pace nei teatri di guerra. Chiedete a loro che cosa significa e non ad auto-referenziali influencer che per cinque minuti di protagonismo recitano i loro mantra in trasmissioni intrise di buonismo e belle parole.
Nei secoli sono state fatte molte scelte dolorose nel nome della realpolitik, evitabili con il senno del poi. Molte erano la conseguenza di errori precedenti altre di valutazioni affrettate; di fatto se è vero che la storia è maestra di vita, l’Uomo ha spesso dimostrato di essere un pessimo studente. Va però anche detto che ciò che siamo è il frutto di ciò che siamo stati ed una analisi storica dovrebbe essere sempre effettuata considerando tutti i fattori. Solo da una analisi scevra di interpretazioni di comodo, possono essere tratte valutazioni etero-referenziali, inquadrate nel periodo in cui avvennero quei fatti. L’importante è che le lezioni acquisite siano comprese e tramandate come common heritage, per far comprendere alle nuove generazioni che la libertà ce la dobbiamo guadagnare, specialmente in un mondo sempre più competitivo come quello del III millennio che, come previsto, non farà sconti a nessuno. Solo infondendo nei giovani i valori umani fondamentali di rispetto e tolleranza, weberiani motori del progresso sociale, potremo costruire società più giuste. Ideali che, come potrete leggere nell’articolo, furono professati da quegli uomini, ingiustamente dimenticati, che nella massima riservatezza si addestravano alla Bocca del Serchio, nella Casa dei Valori, per prepararci un mondo migliore.
Andrea Mucedola

L’articolo è stato pubblicato nel numero 256 (gennaio-febbraio) di ARBITER, acquistabile nelle migliori edicole. In alternativa può essere ordinato sul sito primaedicola.it previa registrazione. Sul sito è possibile individuare l’edicola più comoda e prenotare senza impegno la propria copia che verrà pagata solo al ritiro.
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Andrea Mucedola
Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).