Nel sentir parlare di “Branda Calda” qualcuno potrebbe pensare ad un letto riscaldato con la tecnologia.
Un Sommergibilista sa che invece si tratta di qualcosa del nostro passato.
Una specie di materasso non più alto di cinque centimetri, chiuso dentro un fodero di plastica con cerniera e messo dentro un cassettone a scomparsa. Era questo il letto su alcuni sommergibili ora tutti in disarmo.
Si chiamava “branda calda” perché, per ragioni di spazio, a bordo di quella classe di Sommergibili, c’erano la metà dei letti rispetto al numero di persone (28 persone – 14 letti).
“Branda calda” perché chi andava a riposare trovava il letto caldo. Si era appena alzato il collega che era venuto a rilevare nel turno di guardia.
Non c’era tempo ne spazio per fare altro dopo il turno di guardia quindi, a parte il brevissimo tempo per il pranzo e la cena (scompariva il cassettone con il letto e veniva tirato fuori un piccolo tavolo), si stava in branda.
A dire il vero qualcuno riusciva, quasi nel buio totale perché altri dovevano dormire, a rinunciare a qualche ora di sonno per fare la partitina a Quintilio.
Un solo cuscino per due persone con l’accorgimento di girarlo ogni volta che si andava in branda perché il collega ci aveva dormito (accorgimento che non serviva perché dopo qualche turno di guardia non ci si ricordava più quale era il proprio lato e non si sapeva se il collega lo aveva girato o meno).
Soltanto una coperta ed ovviamente niente lenzuola. Si dormiva (si fa per dire) vestiti.
C’erano in più due brande che non erano calde. Mi ricordo che a differenza delle altre non erano a scomparsa ed avevano perfino la tendina. Erano sempre nello stesso unico locale dove si dormiva e si pranzava. Erano la branda del Comandante e del Direttore di Macchina. Erano fredde perché i titolari non dormivano quasi mai. Il senso di responsabilità, il senso del dovere e l’operazione da portare a termine nel miglior modo possibile li tenevano lontani dalla branda.
Stavano sempre vestiti anche loro, chiudevano gli occhi per poco tempo in branda o su una sedia in sala operativa durante un periodo di relativa calma.
Per giorni e giorni di navigazione era questa la nostra vita.
Lascio la branda,
rassetto la coperta,
stiamo a quota profonda
a navigare.
Giro il cuscino
e poi mi bagno gli occhi.
Lo so che
non c’è acqua da sprecare.
C’è il mio collega
al timone che mi aspetta.
Adesso è lui
che ha diritto a riposare,
Gli dico
che il cuscino l’ho girato
e che può stare tranquillo
quattro ore.
Quella branda
mi è parte del passato.
Spartana e spoglia,
e nemmeno tutta mia.
Mi è rimasta
nel cuore e nella mente
e al suo pensiero
mi assale nostalgia.
Enzo Arena