Dal sito RID un’intervista all’Ammiraglio Credendino a cura di Pietro Batacchi
Ammiraglio, partiamo dai fondamentali, come pensate di bilanciare il “doppio impegno” nel Mediterraneo e in Indo-Pacifico?
Partiamo da un presupposto, allora. Il Mediterraneo, come riconosciuto in tutti i documenti strategici della Difesa italiana, è l’area di nostro interesse prioritario e tale resta. Tuttavia, oggi ciò che succede anche in teatri più lontani, come, appunto, l’Indo-Pacifico, si riverbera immediatamente sulla nostra sicurezza e sul nostro benessere. Del resto l’Italia è una media potenza con interessi globali, basata su un’economia di trasformazione. Per questo, oggi, si potrebbe iniziare tranquillamente a parlare di Mediterraneo globale, proprio a voler sottolineare la stretta interdipendenza tra i 2 scacchieri, determinata dalla necessità – ripeto, per il tipo di Paese che è l’Italia – di dover mantenere “aperti” i mari, garantendo la libertà dei commerci e delle rotte.
A ciò aggiungiamo il fatto che il paradigma di riferimento è ormai cambiato e dal continuum pace-crisi-guerra, siamo passati ormai ad un continuum in cui la pace non c’è più, con un “pendolo” che oscilla sempre tra la crisi, più o meno intensa, e la guerra.
A tal proposito, qual è la sua attuale valutazione sulla presenza russa nel mediterraneo?
È un fattore che per l’appunto ormai da qualche anno sta modellando lo scacchiere. Fino a qualche mese fa la Marina Russa aveva fino a 18 unità – tra navi e sottomarini – nel Mediterraneo. Adesso, la consistenza si è un po’ ridotta, anche perché non avendo bacini di carenaggio e arsenali per la grande manutenzione, le navi russe dopo il dispiegamento devono rientrare. L’unica base che hanno in teatro, Tartus, in Siria, pur essendo cresciuta molto negli ultimi tempi, non ha tali strutture e questo spiega pure la ragione per la quale i Russi da tempo stanno cercando di creare nuove infrastrutture in Libia, a Derna, piuttosto che in Sudan, Port Sudan; l’auspicio è che non ci riescano… La presenza russa, che, pur non costituendo una minaccia diretta al territorio nazionale, costituisce un oggettivo fattore di preoccupazione e tensione, ci costringe a tenere sempre alta l’attenzione e a mantenere nel Mediterraneo mediamente 6 unità (navi e sommergibili). A ciò aggiungiamo il generale riarmo dei Paesi della sponda sud, alcuni dei quali acquisiscono sistemi d’arma ed equipaggiamenti dalla stessa Russia, e la necessità di proteggere e monitorare le infrastrutture subacquee, cavi e condotte, che, in un mare che per il 75% è profondo meno di 3.000 m, sono raggiungibili potenzialmente da chiunque e, dunque, a rischio atti ostili e sabotaggi. Insomma, il Mediterraneo resta un teatro molto complicato.
E poi c’è il Mar Rosso…
Beh, in Mar Rosso siamo in guerra. Gli Houthi ci sparano addosso con missili e droni – aerei e di superficie – e noi rispondiamo come abbiamo fatto in questi mesi usando i cannoni e i missili ASTER delle nostre navi, per assolvere alla missione: proteggere il traffico mercantile. Traffico che, proprio a causa dell’attività degli Houthi nel Mar Rosso, si è ridotto di oltre il 40% e questo rappresenta un danno soprattutto per economie fortemente dipendenti dall’esterno come quella italiana. Tra l’altro, se il traffico occidentale si riduce così tanto, quello cinese, le cui navi non vengono attaccate, è cresciuto del 15%, mentre con la minaccia degli Houthi ha rialzato la testa pure la pirateria somala, che fino ad un anno fa era praticamente stata sconfitta.
In ogni caso, si sta un po’ riducendo la minaccia degli Houthi?
Anche se gli Houthi sembrano più focalizzati sugli attacchi al territorio israeliano, la minaccia ai cargo mercantili c’è ancora, come dimostra l’ultimo attacco di qualche giorno fa. Inoltre, le loro capacità a livello di intelligence e sorveglianza, e nella “costruzione e valorizzazione” dei profili di attacco, sono migliorate e questo costringe anche noi ad adeguarci e a migliorare. Un conto, infatti, è abbattere dei bersagli in poligono durante l’addestramento, un conto è farlo in uno scenario bellico reale. Per esempio, abbiamo dovuto fare delle modifiche in corsa alla testa in guerra dei proietti da 76 mm e pure ai sensori.
Veniamo adesso più nel dettaglio dell’Indo-Pacifico, uno scacchiere che ha visto il recente impegno del gruppo portaerei CAVOUR. Quali sono le lezioni e gli ammaestramenti che avete appreso?
Come dicevo prima, ciò che accade nell’Indo-Pacifico ha un impatto diretto su di noi. Per questo, come ribadito più volte dall’autorità politica, non ultimo nel recente G7, dobbiamo essere presenti con i nostri gruppi navali e consolidare la partnership con i Paesi della regione, a cominciare dal Giappone. A questo grande Paese asiatico, ci lega non solo la grande cooperazione aeronautica nel GCAP, ma anche la dimensione navale. Per la Marina Nipponica, difatti, con la quale ci siamo addestrati a lungo in questi mesi, rappresentiamo un riferimento per l’impiego dell’F-35B. Del resto, lo hanno acquistato pure loro, per farlo operare dalle 2 portaeromobili IZUMO e KAGA in fase di trasformazione, e per ciò hanno necessità di addestrarsi e familiarizzare con l’impiego delle portaerei e dei gruppi di volo imbarcati, per consolidarne i relativi concetti e la dottrina.
Per quanto riguarda più specificamente gli aspetti operativi, grazie alla proiezione del gruppo CAVOUR in Indo-Pacifico, abbiamo conseguito la IOC con i nostri F-35B con mesi di anticipo rispetto al programma originale, mettendo in campo 8 velivoli, 6 nostri più i 2 F-35B dell’Aeronautica Militare, e 7 AV-8B HARRIER II. Un capacità assolutamente rilavante che abbiamo avuto l’opportunità di valutare in un teatro estremamente complesso, dove abbiamo potuto manovrare con la 7ª Flotta dell’US Navy, con i Giapponesi, ecc., sfruttare le enormi aree addestrative sul mare, con la possibilità di impiegare tutti i sistemi d’arma a disposizione senza vincoli (e questa è un’altra delle ragioni per la quale dobbiamo essere presenti in Indo-Pacifico) e partecipare a formidabili eventi addestrativi come la grande esercitazione PITCH BLACK in Australia. Per inciso, nell’ambito dell’esercitazione il CAVOUR era l’unica portaerei presente, con gli HARRIER imbarcati che hanno giocato il ruolo di partito avverso. E non dimentichiamo che sotto il controllo operativo del gruppo CAVOUR è stato inserito anche un DDG americano, segno della credibilità e dell’affidabilità che ci siamo guadagnati, scortando per esempio a lungo le loro portaerei nel Mediterraneo con le nostre FREMM, a “caccia” di sottomarini russi, e della sempre maggiore interoperabilità/interscambiabilità con i partner e gli alleati. Insomma, rientriamo da questo dispiegamento con un bagaglio di conoscenze ed esperienze veramente rilevante, un grande successo d’immagine e pure con nuove opportunità per la nostra industria nazionale.
Insomma, l’Indo- Pacifico sempre più importante…
Lo conferma anche il fatto che insieme a UK e Francia abbiamo avviato un dialogo per coordinare le pianificazioni delle proiezioni dei gruppi portaerei in modo da massimizzare gli effetti della nostra presenza in teatro.
E poi avremo anche il TRIESTE…
Sì, la nave ci verrà consegnata a breve. Sarà la flagship delle forze anfibie ma sarà in grado di operare con fino a 20 F-35B.
Come impatta tutto questo sulla formazione sul training?
Oggi abbiamo 2 guerre nel giardino di casa e questo ovviamente, dopo gli anni delle missioni di peace keeping e stabilizzazione, ci ha costretti a tornare ad un tipo di training più convenzionale, capace di prepararci a scenari ad alta intensità e multidominio. Un esempio ne sono state le grandi manovre addestrative del maggio scorso con la Marina Francese, quando abbiamo unito la nostra MARE APERTO con la loro POLARIS e per un mese ci siamo confrontati a schema libero con i 2 gruppi portaerei, simulando tutti i possibili scenari di guerra.
E, soprattutto, come impatta tutto questa sul modo in cui vengono e verranno progettate le nuove navi? Molte volte le navi della Marina Militare sono state giudicate sotto armate o poco armate…
Intanto, dobbiamo potenziare le dotazioni delle nuove unità ed avere più armi a bordo: i DDX avranno almeno 80 celle per missili di diverso tipo e pure sul lotto successivo di PPX, per esempio, stiamo pensando a sistemi missilistici “leggeri”, quali il CAMM ER, in modo tale da potenziare l’autoprotezione di tali unità.
E sulle FREMM EVO, ci saranno i missili negli spazi occupati in precedenza sulle FREMM dai camerini aggiuntivi?
Assolutamente sì. Stiamo studiando varie ipotesi, incluso il missile a lungo raggio, e stiamo chiedendo all’industria di sviluppare un lanciatore multi-missile universale, che ci offrirebbe maggiore flessibilità e versatilità operativa.
Però, mi lasci aggiungere 2 ulteriori elementi che riguardano l’industria…
Ammiraglio, prego…
Il primo è che quando si parla di armi di bordo non ci può più riferire ormai solo al missile per così dire tradizionale, ma anche ad armi laser e ad energia diretta, ad armi di tipo cibernetico, a nuovi sistemi antidrone, a droni-contro-drone, ecc. Insomma, bisogna pensare ad un insieme di capacità e a come svilupparle anche in tempi brevi poiché ce lo impone lo scenario. Il secondo elemento è che l’industria ci deve supportare con un adeguato ritmo di produzione rendendo sostenibile uno sforzo duraturo. Per questo, ho chiesto di avere assieme ad ogni nave una dotazione missilistica e scorte attagliate a scenari sempre più “contestati”: questa è oggi una nostra priorità, mentre in precedenza, come noto, l’armamento rappresentava un’esigenza che veniva sempre dopo. Nel complesso, pertanto, occorre un cambio di mentalità non solo da parte nostra, ma anche da parte dell’industria, come, peraltro, più volte ha ricordato dallo stesso Ministro Crosetto.
Il problema delle scarse dotazioni missilistiche riguarda un po’ tutta l’Europa, che per anni si è crogiolata nei dividendi della pace…
Sì è un problema molto sentito anche in UK e Francia. La guerra nel Mar Rosso lo ha fatto emergere in tutta la sua attualità, così come ha fatto emergere un altro problema, ovvero quello delle ricariche a fronte di un consumo di ordigni non estemporaneo. Gli Inglesi per rifornirsi sono costretti ad andare a Gibilterra, cosa che tiene le navi lontane dal teatro per un mese, mentre noi e i Francesi andiamo a Gibuti. I Francesi per questo stanno sperimentando l’imbarco dei missili direttamente in mare, ma altrettanto faremo noi impiegando le nostre rifornitrici VULCANO con le dovute modifiche. Non è possibile “sganciarsi” dal teatro per andare a rifornirsi, dobbiamo liberarci da certi vincoli!
Le faccio una domanda che farò anche al Capo di SME e al Capo di SMA: come sta procedendo la dronizzazione della Marina Militare?
È un argomento quotidiano e una priorità assoluta. Abbiamo bisogno con urgenza di droni di tutti i tipi: grandi, piccoli, aerei, subacquei e di superficie.
Per quanto riguarda i droni aerei, ala fissa e ala rotante, si rumoreggia anche di novità, cosa bolle in pentola?
Stiamo impiegando lo SCAN EAGLE e stiamo valutando l’AWHERO, per i caccia e le fregate, ma stiamo guardando a tutto ciò che in questo momento può offrire il mercato e pure a grandi droni ad ala fissa per l’impiego sul CAVOUR e sul TRIESTE.
Ci può dare qualche dettaglio in più, in particolare su questi grandi droni ad ala fissa?
Siamo molto interessati all’acquisizione di capacità assimilabili a quelle espresse dal sistema MOJAVE di General Atomics, che come lei saprà gli Inglesi stanno già provando sulle QUEEN ELIZABETH, ovvero ad un drone che ci consentirebbe di estendere la capacità di difesa e sorveglianza del dispositivo navale. Del resto, sappiamo già adesso che le portaerei del futuro avranno un gruppo aereo imbarcato con una componente pilotata e una non pilotata/autonoma.
Parliamo di USV, quali sono i piani della MM in merito?
Stiamo conducendo una serie di studi, anche per droni di superficie grandi con i quali demoltiplicare e diradare le nostre capacità operative, e stiamo anche in questo caso guardando al mercato per capire cosa potrebbe essere disponibile. È chiaro che in tutto questo un ruolo fondamentale è giocato dalle comunicazioni, che devono essere ridondanti e cyber-sicure, e dall’intelligenza artificiale.
A proposito di droni, ci dica qualcosa sul progetto SCIAMANO DRONE CARRIER (SDC)?
È uno studio preliminare, finanziato nell’ambito del PNRM (Piano Nazionale della Ricerca Militare), che ci serve a stabilire i requisiti di base delle future Multi Capability Carrier, in particolare in termini di compatibilità, integrazione e operatività dei droni a bordo, di gestione degli spazi, di comando e controllo, ma pure di gestione e alimentazione elettrica. In pratica, il progetto ci serve per definire uno standard – dimensioni minime che deve avere un bacino, dimensione minime del power supply, ecc. – che ispirerà in parte anche le citate Multi Capability Carrier.
Per Multi Capibility Carrier cosa intendete?
Intendiamo una famiglia di navi del futuro, modulabili e scalabili, che nell’estremo più alto e più importante, per esempio, dovranno portare al rimpiazzo attorno al 2040 del CAVOUR, e che devono essere considerate a livello concettuale come hub che distribuiscono capacità (sensori, effettori, ecc.) mediante l’intervento e l’apporto dei sistemi autonomi, secondo una scala commisurata al teatro di operazioni in cui si dovrà operare, alla persistenza che si dovrà avere in mare, o sotto il mare, ecc. Stiamo studiando questo concetto da 2 anni, assieme a Fincantieri, Leonardo e una serie di PMI.
Nuove navi, nuovi impegni, ma manca il personale. Quali sono le vostre esigenze?
Sono chiare e sono già state rese note nello studio redatto quando il Capo di SMM era l’Amm. Cavo Dragone: considerando tutti gli impegni, la Marina Militare avrebbe bisogno di 39.000 effettivi (più 9.000 civili), ma oggi non arriviamo a 30.000. Tra l’altro quello del personale è un problema sentito in egual misura anche da altre Marine alleate. Vediamo, dunque, quali potranno essere gli strumenti più idonei per andare in tale direzione, posto che come sappiamo c’è già una grande attenzione a livello politico. La MM, dal canto suo, si è già mossa riducendo negli ultimi 2 anni e mezzo del 30% la struttura di Stato Maggiore e potenziando la componente operativa, logistica e formativa; e lo abbiamo fatto ricorrendo pure laddove possibile a nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale.
Chiudiamo con 2 domande secche: nuovo MPA e SCALP NAVAL. Ci sono novità?
Sull’MPA non è ancora stata presa una decisione e tutte le opzioni sono sul tavolo: P-8, P-1 con suite di missione nazionale, e MC-27J ASW. Sullo SCALP NAVAL sono ancora in corso le discussioni.
Durano da parecchino le discussioni sullo SCALP NAVAL…
Sono ottimista…