Il blocco causato dalla Ever Given non è l’unico della storia: nel 1967 la Guerra dei sei giorni imprigionò per otto anni 15 imbarcazioni. E gli equipaggi organizzarono anche le Olimpiadi
“Se vi siete appassionati ai fatti del Canale di Suez, sappiate che nel 1967, quando scoppiò la Guerra dei sei giorni, l’Egitto lo chiuse all’improvviso e le navi che transitavano in quel momento al suo interno furono bloccate e ci rimasero per otto anni. Le chiamavano Yellow Fleet, la flotta gialla, per la sabbia che si depositò sopra nel corso degli anni. Gli equipaggi rimasero a bordo per mesi, prima di ricevere il cambio, poi furono organizzati lunghi turni per anni. Era necessario per proteggere le navi e soprattutto il valore dei cargo. Non c’era molto da fare a bordo, così marinai di paesi su lati opposti della guerra fredda fraternizzarono e organizzarono partite di calcio ed eventi sportivi. Le navi erano ancorate nel punto più largo del canale, il Grande lago amaro (la bellezza dei nomi). Quando capirono che la situazione non si sarebbe sbloccata a breve, gli ufficiali si riunirono sulla Melampus per fondare un’associazione di mutuo aiuto: la Great Bitter Lake Association, che organizzò l’anno dopo anche i Bitter Lake Olympic Games nel 1968 (era anno olimpico, i giochi furono a Città del Messico). Le discipline erano quattordici, tra cui vela, tuffi, atletica, tiro con l’arco (con materiale fatto a mano da abili marinai polacchi), salto in alto (con materassi presi dalle cabine), tiro e pallanuoto (la nave polacca aveva una piscina), ma anche pesca (?) e sollevamento pesi. Come raccontato dai diari di bordo, l’atmosfera era eccellente, molto olimpica nonostante la tensione del momento. La Polonia arrivò prima nel medagliere, seguita da Germania e Regno Unito. Contrariamente al teorema di Gary Lineker (che forse non vale in mare), la Germania non vinse il torneo di calcio. Pare se ne dolsero molto (e che attribuirono il tutto agli infortuni dei giocatori più forti). La Great Bitter Lake Association creò anche un sistema postale e produsse dei francobolli, che sono ancora oggi ricercati dagli appassionati di filatelia (e che sono bellissimi, in generale). Erano fatti a mano e con qualunque materiale si trovasse a bordo, non erano francobolli ufficiali, ma in quel periodo venivano riconosciuti come tali per permettere ai marinai di scriversi con le famiglie. Per tenere su gli spiriti e l’atmosfera, ingenti quantità di alcol furono consumate a bordo. Il capitano di una delle navi calcolò un consumo di almeno un milione e mezzo di bottiglie di birra e scrisse: «Vien da pensare a che penseranno in futuro gli archeologi di tutto questo». Quando le navi furono liberate, nel 1974, solo due erano ancora in grado di navigare autonomamente. In ogni caso la Great Bitter Lake Association fu sciolta e furono fatti degli ultimi francobolli commemorativi, per dire addio al Canale di Suez.”
Ecco l’articolo di “Esquire” sui fatti di oggi riferito a quelli dell’epoca
Il canale di Suez rischia settimane di blocco: all’imbocco meridionale, poche miglia dall’ingresso del mar Rosso, si è incagliata una gigantesca imbarcazione portacontainer lunga 400 metri e larga 59, con una capacità di 220mila tonnellate. Si chiama Ever Given, batte bandiera panamense ma è di proprietà della compagnia taiwanese Evergeen e trasporta merci tra l’Asia e l’Europa, nello specifico sulla rotta Cina-Rotterdam. Due battelli draga, quattro scavatrici e nove rimorchiatori giganti stanno tentando di disincagliarla: la prua si è bloccata verso Est, in un tratto dove il canale è largo 205 metri.
Intanto, a Nord e Sud si sta creando un ingorgo epico – ci sono già 185 navi di ogni tipo e con ogni carico, in fila – che promette di influenzare in modo molto pesante gli equilibri commerciali del pianeta, visto che il canale di Suez, inaugurato nel 1896 e lungo 193 chilometri, è una scorciatoia essenziale che consente di evitare la circumnavigazione dell’Africa sulla rotta del Capo di Buona Speranza fra Asia e Atlantico. Da quel corridoio che inizia (o termina) a Port Said, delimitando la penisola del Sinai dal resto del territorio egiziano, passa il 7% del traffico mercantile mondiale, in questi mesi enormemente sotto pressione, e il 12% delle merci distribuite in tutto il mondo: vi transita il 30% dei container, il 10% delle merci e il 4,4% del petrolio mondiale.
Non è la prima volta che il canale di Suez – che vanta una storia antichissima e i cui lavori iniziarono nel 1859 per durare dieci terribili anni, con l’allargamento nel 2015 – finisce nel cuore della storia, quella con la esse maiuscola. Accadde per esempio con la crisi di Suez del 1956, quando l’allora presidente egiziano, Gamal Abdel Nasser, nazionalizzò la gestione (fino a quel momento britannica), scatenando la risposta di Regno Unito, Francia e Israele, terminata in otto giorni dopo le pressioni di Stati Uniti e Unione Sovietica nonostante la facile occupazione delle forze britanniche, francesi e israeliane e con la prima missione internazionale dei caschi blu dell’Onu al loro esordio con la missione dell’Unef.
Alcune immagini dell’epoca reperite sul web