La vela davvero non ha età, come testimonia Sergio Mitrotti, un velista di 81 anni che ha vissuto per tanti anni alle isole Hawaii e navigato a lungo nel Pacifico. Oggi dopo avere acquistato un vecchio Comet 10,50 si prepara a partire dal sud Italia in solitario per tornare a Honolulu. “Honolulu, arrivo!”, come urlava il Mago Merlino, con la barca bianca come Mitrotti, nel capolavoro Disney “La Spada nella Roccia”. Solo che Merlino, dopo un po’, ritornava a casa. Quello di Sergio invece è un viaggio di sola andata.
Honolulu, arrivo!
Quella di Sergio Mitrotti è una vita vissuta appieno, da viaggiatore, da marinaio, da artista con una vocazione speciale per l’avventura e la capacità instancabile di inseguire i propri sogni. Oggi a 81 anni, dopo un giro del mondo a vela e tante esperienze negli Stati Uniti, tra la California e le isole Hawaii, dove ha navigato per anni e gestito un ristorante fortunato, il Cafè Sistina, ha in programma una nuova grande avventura.
A bordo di un vecchio Comet 10,50 acquistato in Grecia e completamente restaurato, ha intenzione di rimettersi in mare e navigare in solitario per raggiungere la sua casa ad Honolulu. Ha un piano di rotta naturalmente e un obiettivo preciso, ma col tempo ha capito che quello che conta davvero è il viaggio. Seguire quel profondo richiamo dell’oceano che permette a chi vi si lascia andare di entrare in stretta connessione con la natura e con sé stessi. Lo abbiamo raggiunto a Crotone, in Calabria, dove Sergio sta ultimando i lavori di carena alla sua “Itaca 2” e ci ha raccontato la sua splendida storia e una visione della vela… non proprio comune.
Sergio, quando e come ha cominciato a praticare la vela?
“Da piccolo i miei genitori mi portavano sulle barche dei pescatori di Brindisi. Ma con la vela ho cominciato all’età di 6-7 anni in un circolo velico di Sanremo, dove con la famiglia passavamo diversi mesi l’anno. La vela era un gioco tra amici. Erano gli Anni ’50 e c’erano già tante barche nelle banchine. Io le guardavo e sognavo di viaggiarci. Mi fermavo sempre davanti a un due alberi stupendo con lo scafo nero che era del re Farouk d’Egitto. Un giorno l’equipaggio mi invitò anche a bordo. Poi a 13 anni lessi il libro di Bernard Moitessier “Il vagabondo dei mari del Sud”, una vera scoperta. Appena ho potuto, verso i 25 anni, acquistai la mia prima barca, un cabinato di 11 metri in legno a chiglia lunga che tenevo a Loano e con cui facevo tante crociere soprattutto in Corsica e in Sardegna. All’epoca ero anche istruttore subacqueo, quindi univo le due passioni”.
Quando è maturata invece l’idea dei viaggi a vela?
“Nei primi Anni ’70 insieme alla mia fidanzata d’allora pianificammo la traversata dell’Atlantico con l’idea di fare un giro del mondo. Così preparai a dovere la mia barca in legno per questa impresa. Salvo che lei alla fine si tirò indietro. Io, frustrato da quel rifiuto, mollai lei e la barca e partii per gli Stati Uniti per raggiungere mio fratello con l’assoluta certezza che la mia via spirituale era quella dell’acqua. Curiosamente portai con me una pentola a pressione e un vecchio sestante che avevo in barca, due elementi che avrebbero simbolicamente identificato la mia vita”.
In che modo?
“Beh, negli Stati Uniti ho trascorso una decina d’anni a Los Angeles, facendo regate e crociere su barche di amici lungo costa e soprattutto nelle isole della California, come per esempio Santa Catalina nell’arcipelago delle Channel Islands. Era bello, ma cercavo altro. Poi mi sono stancato della superficialità dei californiani e del loro paradigma “soldi, divertimento e niente pensieri”, e nel 1987 ho deciso di trasferirmi a Honululu, nelle isole Hawaii. Era un luogo affascinante dove potevo riconnettermi con la natura e soprattutto vivere la vela e le immersioni in maniera totale. Qui per mantenermi ho costruito con le mie mani un ristorante, il Cafè Sistina, decorandolo io stesso con degli affreschi della celebre Cappella Sistina, un lavoro enorme che ha richiesto quasi 20 anni. In Italia negli Anni ’60 avevo lavorato come grafico nella famosa agenzia pubblicitaria di Armando Testa di Torino e mi è rimasto l’amore per l’arte. Il ristorante, dove facevo anche il cuoco e cucinavo specialità italiane, andò molto bene e ancora oggi lavora alla grande”.
Nel frattempo sono arrivate altre barche?
“Sì, a Honolulu comprai un Cal 25, una barchetta di 7 metri con cui mi divertivo tantissimo a girare per tutta la costa. Lì la media del vento è dai 18 ai 25 nodi e la navigazione non era per niente facile. Si è nel mezzo del Pacifico, ci sono onde e frangenti, pochissime baie ridossate, qualche spiaggia e la costa è per lo più di scogli”.
Come è vissuta la nautica alle Hawaii?
“Io frequentavo la marina turistica di Honolulu, c’erano tantissime barche e riuscire ad avere un ormeggio era una vera sfida. Avevo molti amici armatori, frequentavo uno yacht club molto genuino, mentre altri erano più esclusivi e da status symbol. In generale l’americano vive la vela come un gioco, un mezzo per divertirsi e fare festa. Io vivo una dimensione più profonda del mare, cerco l’orizzonte, amo i suoni e la “voce” dell’oceano. Per questo cominciai a pensare di attraversare il Pacifico, esplorare quei luoghi meravigliosi che avevo letto nei libri di Moitessier, e magari continuare il giro del mondo, fino a tornare in Italia. Così acquistai una bella barca da oceano”.
Era una barca statunitense?
“Sì, era un Columbia 43, una barca da regata della classe Ior varata nel 1970 e disegnata da Bill Tripp che aveva fatto diverse edizioni della Transpac, regata da Los Angeles a Honululu. Ho speso una montagna di soldi per rimetterla in sesto e con mia moglie abbiamo cominciato a navigarci per prenderci confidenza. Una volta mentre navigavamo verso Maui abbiamo preso una sventolata di 30 nodi in poppa. Ci siamo guardati e abbiamo deciso di proseguire per il Pacifico. Era il 2017. Il Columbia 43 peraltro è una barca fantastica e prima di mettere i terzaroli ci volevano almeno 40 nodi. È una barca di 10 tonnellate, di cui 4 solo in chiglia”
Che scali del Pacifico avete esplorato?
“Dopo 28 giorni di navigazione, di notte siamo passati alle Tuamotu senza fermarci, perché quelli sono scali pericolosi se non li si conosce. Io avevo solo il Garmin e ho proseguito verso Tahiti, dove abbiamo trascorso un mese bellissimo. Poi abbiamo proseguito verso le Isole della Società. In una di queste, Bora Bora, ci siamo fermati diverse settimane. Peraltro eravamo ormeggiati gratuitamente delle boe installate dai bar e ristoranti locali, esploravamo coste, baie e altre isole e poi tornavamo sempre lì. Un paradiso”.
Poi come avete proseguito il vostro viaggio?
“Una volta messe alle spalle le isole dei mari del Sud per tornare in Mediterraneo, avevamo due opzioni: scapolare il Sudafrica oppure attraverso il Mar Rosso e Canale di Suez. Abbiamo scelto questa seconda rotta per via delle difficoltà dell’oceano Indiano alle basse latitudini, i pochi scali e i rischi del mare formato. Abbiamo quindi puntato sull’Indonesia, passando lo Stretto di Malacca con centinaia di petroliere, barche di ogni tipo e barche sospette che si avvicinavano. Non direi tanto pirati, quanto approfittatori e opportunisti a bordo di vecchi pescherecci, alcuni sembravano vecchi galeoni fatti di ossa. Il Mar della Cina è quello più difficile in cui ho navigato, sempre al timone ho finito per avere le allucinazioni. Per il resto erano navigazioni tranquille. Io mi occupavo delle manovre e mia moglie cucinava”.
La barca come si è rivelata durante il viaggio?
“Direi perfetta, una barca di grande qualità costruttiva. Conducendola praticamente da solo avevo tutte le manovre rinviate in pozzetto vicino alla seduta del timoniere, potevo contare inoltre su un gavone dell’ancora enorme. Insomma una compagna ideale per viaggi in oceano che non a caso ho battezzato “Itaca” ispirandomi a una famosa poesia del poeta greco Konstantinos Kavafis che avevo sentito recitata dall’attore Sean Connery: Itaca tieni sempre nella mente. La tua sorte ti segna a quell’approdo. Ma non precipitare il tuo viaggio. Meglio che duri molti anni, che vecchio tu finalmente attracchi all’isoletta, ricco di quanto guadagnasti in via, senza aspettare che ti dia ricchezze. Un testo meraviglioso che centra pienamente cosa vuol dire fare crociere in barca: non è la destinazione, ma il viaggio in sé la vera esperienza. Purtroppo quando è arrivato il Covid e si è bloccato tutto siamo stati costretti a svenderla in Malesia e siamo tornati in Mediterraneo con l’aereo”.
Ora però ha in mente un altro viaggio…
“Si, mia moglie è tornata a Honolulu e io sono andato in Grecia dove ho trovato un’altra barca. Si tratta di un Comet 10,50, un progetto Finot degli Anni 80. Il mio progetto è di tornare a Honolulu in solitario. Dopo essere stato un anno a Brindisi dove ho fatto tutto il restauro, ora sono a Crotone a fare carena. Dopodiché partirò per le Eolie, quindi Baleari e Stretto di Gibilterra, uno scalo alle Canarie e poi l’Atlantico fino al Canale di Panama per entrare in Pacifico. Ho 81 anni, ma mi sento un avventuriero, non so vivere tra quattro mura, amo l’oceano e spero di arrivare a destinazione. Ma come dice Kavafis, non voglio “precipitare il viaggio”. Mi godo questa ultima grande esperienza di mare, di vita e di spirito”.