Dal numero di Marzo 2023 del Notiziario della Marina una bella notizia per chi era imbarcato sulla Regia Torpediniera “Impavido”
Il relitto della torpediniera Impavido, ex Regia Marina, è stato rinvenuto da Andrea Bada,“il cacciatore dei relitti” con la collaborazione dell’Istituto Idrografico della Marina.
di Daniele Coroleo
Varato nel 1943, l’Impavido fu assegnato alla VI Squadriglia Torpediniere della Regia Marina e impiegato per le missioni di scorta nel Mar Tirreno.
Il 16 settembre 1943, dopo l’Armistizio di Cassibile, la nave, costretta a riparare a Portoferraio per un’avaria, venne catturata dai tedeschi ed incorporata nella Kriegsmarine a La Spezia, assumendo il nome di TA 23.
Il 24 aprile 1944, la TA 23 mollò gli ormeggi con altre due torpediniere anch’esse ex Regia Marina, l’Ardito e l’Eridiano, (rinominate TA 26 e TA 29) per posare un campo minato al largo dell’isola di Capraia.
Dalle trascrizioni sui documenti di bordo, alle 1.45 del 25 aprile, al rientro, la TA 23 urtò e venne danneggiata da una mina. Le altre due navi provarono a trainarla prima con alcuni cavi, che però si spezzarono durante le manovre, e in seguito affiancandola per tentare di rimorchiarla; per poi trovarsi anche a respingere, con successo, un attacco di alcune motosiluranti statunitensi. Intanto, la TA 23 continuava a imbarcare acqua e, pertanto, visto il sopraggiungere di aerei nemici, si decise di far sbarcare l’equipaggio e la TA 29, l’Eridiano, la cannoneggiò per affondarla, affinché non finisse nelle mani del nemico.
Il primo siluro non produsse danni, mentre il secondo colpì il deposito di munizioni della torpediniera, facendola saltare in aria. Erano le 06.45 del 25 aprile 1943 e l’Impavido, ormai TA 23, si inabissò, secondo quanto pervenuto, nel punto nave 43°02’N e I0°I2’E. Sono trascorsi quasi 80 anni dal quel giorno e, dopo diverse ricerche, oltre anche ad alcuni presunti ritrovamenti, l’Impavido è stato rinvenuto da Andrea Bada, conosciuto anche come “il cacciatore dei relitti”.
Bada, infatti, è a capo di un vero e proprio team specializzato per le immersioni di profondità nel Mediterraneo per identificare e documentare i relitti adagiati sui fondali marini.
La passione per la storia e per l’esplorazione sono i principi cardine che spronano questa squadra nelle operazioni di ricerca, spesso effettuate di concerto con l’Istituto Idrografico della Marina, la cui attività, in questo ambito, è ben regolamentata in materia di gestione e aggiornamento della cosi detta “banca dati di tutti i relitti, di interesse storico e non, giacenti sui fondali delle acque marine sottoposte alla giurisdizione nazionale”. La collaborazione con l’Istituto Idrografico risale a diversi anni fa, grazie alla volontà del cartografo Stefano Ferrero, (dipendente civile dell’Idrografico che si è occupato di ambito geospaziale e di cartografia militare, n.d.a.) fautore e custode di questa banca dati – ci racconta Bada – che aveva intuito l’importanza di creare una vera e propria rete che mettesse in contatto noi ricercatori e le autorità preposte. Dopo la prematura scomparsa di Ferrero, il suo lavoro viene portato avanti dal sottocapo di prima classe scelto Domenico Scognamiglio, sotto la supervisione del capitano di corvetta Angelo Castigliego, capo ufficio Geospaziale dello stesso Istituto.
“Noi raccogliamo e trasmettiamo le segnalazioni sugli eventuali ritrovamenti che provengono dal Mediterraneo – spiega il sottocapo Scognamiglio – Una volta individuati possiamo poi ipotizzare, grazie ai controlli incrociati tra le ricerche storiche e le informazioni in nostro possesso, di quale relitto si possa trattare, ma spesso sono i cittadini privati come Bada a verificare personalmente, immergendosi. E, di certo, non è un lavoro facile”. “Tutt’altro! – aggiunge il comandante Castigliego – Le persone in grado di effettuare immersioni fino a 180 metri devono essere sottoposte a un addestramento psicofisico molto approfondito, per certi versi simile a quello che serve per andare nello spazio. E quando ci si immerge, si deve essere certi di essere nel punto giusto, perché il tempo e la visibilità sono limitati. Basti pensare che per 12 minuti di immersione servono poi ben 6 ore di decompressione, e quel poco tempo deve essere sfruttato al meglio, per catturare ogni singolo dettaglio utile alla classificazione, studio ed identificazione del relitto: un lavoro al limite, che richiede sinergia tra gli operatori e consapevolezza dei rischi che si corrono”.
Il relitto dell’Impavido è stato ritrovato a circa 145 metri di profondità, ma solo parzialmente, visto che, dopo l’esplosione i resti della nave sono sparsi sul fondale marino. “Ci sono volute due immersioni per individuare e documentare ciò che stavamo cercando – continua a raccontare Bada – Ci lavoravamo da oltre un anno, dalla segnalazione di un pescatore che aveva tirato su, con le reti, un sestante e delle striscette di ‘balistite’, con le quali si riempiva l’involucro dei siluri, e che ci ha fatto quindi presumere che in quella determinata zona ci fosse un relitto di una nave militare. E ora non c’è alcun dubbio che sia l’Impavido, vista la struttura, l’armamento, la forma ed i pezzi rinvenuti”.
In basso: la torpediniera Impavido come si presentava nel 1943; a sinistra: un momento del suo ritrovamento.
Il 25 aprile del 1944, l’impatto con una mina nell’arcipelago toscano
Copia dell’articolo
FONTE: Notiziario della MARINA