Non solo una scuola di addestramento alla vita marittima, ma piuttosto una “comunità”
19 luglio 2022 Stefano Febbraro
Su proposta del ministro della Marina, Pasquale Leonardi Cattolica, il 13 luglio 1911 venne autorizzata la costituzione di un Consorzio fra Ministero della Marina, Ministero dell’Interno, della Pubblica Istruzione e degli enti locali della città di Napoli per l’utilizzo di una nave della Regia Marina come asilo galleggiante. Era la nave Caracciolo radiata dall’albo del naviglio militare e concessa dallo Stato per accogliere allievi e istruirli alla professione marittima. Grazie a questa iniziativa della Regia Marina molti bambini e ragazzi furono strappati dalla strada e dalla criminalità.
La nave asilo Caracciolo attirò molto interesse in ambito nazionale e internazionale poiché sperimentò un metodo pedagogico che coinvolse oltre 750 bambini e ragazzi sottratti alla strada. Il progetto venne seguito e guidato dalla signora Giulia Civita Franceschi (1870-1957) mentre a bordo decine di “caracciolini” vennero restituiti alla vita, sana e dignitosa fornendo loro conoscenze e competenze per poter svolgere una professione non solo in Marina, ma anche nel mondo del lavoro.
La nave non era solo una scuola di addestramento alla vita marittima, ma piuttosto una “comunità” in cui, secondo l’impostazione della signora Franceschi, ogni ragazzo veniva conosciuto e rispettato e soprattutto incoraggiato e valorizzato nella proprie potenzialità. Matilde Serao del quotidiano Il Mattino di Napoli apostrofò così l’opera di Civita Franceschi: “La nave-asilo Caracciolo raccoglie un senza-patria, un senza-famiglia e dà, a questa creatura diseredata, una patria, una famiglia, raccoglie un vagabondo, un mendicante, e dà a questo povero essere sbattuto e sperso, la casa, il pane, il letto, in una disciplina ferma e rigida, scriveva la giornalista. Raccoglie il figlio di un ladro e ne fa un galantuomo; raccoglie un pigro, un disobbediente, una pianta da galera e ne fa un ragazzo operoso, onesto, retto, destinato a fare il suo dovere di uomo e d’italiano, e a guadagnare la sua vita, sul mare e pel mare”.
Un’esperienza unica in Italia e una opportunità per gli orfani della gente di mare e per l’infanzia abbandonata della periferia napoletana. Fu il primo passo per l’organizzazione di queste speciali “navi scuola” che a terra e a bordo educarono decine di giovani disagiati e orfani, in un momento in cui nessuno pensava al loro futuro.
Altri esperimenti vennero fatti in Italia come la nave Scilla a Venezia dove venne istituito un asilo per gli orfani dei pescatori con l’obiettivo di dare una istruzione elementare e professionale ai piccoli senza fissa dimora. Da Nave Scilla uscirono molti marinai che intrapresero la carriera militare come allievi nocchieri, segnalatori, radiotelegrafisti, siluristi e motoristi navali. Molti altri, invece, presero servizio a bordo delle navi mercantili.
Tra le altre unità impiegate come navi-asilo ci furono anche nave Eridano a Bari. Mentre a Cagliari operò nave Azuni svolgendo un’opera di accoglienza e alfabetizzazione per i ragazzi della Sardegna.
Le navi-asilo introdussero di fatto nel nostro paese il metodo educativo della cultura del mare e della vita di bordo; tradizione che fino a quel momento traeva origine dalle training ships britanniche, promossa sin dalla seconda metà del ‘700 dalla Royal Navy, sul Tamigi.
La storia delle navi-asilo della Regia Marina è custodita presso l’archivio e la fototeca dell’Ufficio Storico della Marina Militare e nel 2019 è diventata anche una mostra e un libro dal titolo A Scuola sul mare, edito dallo Stato Maggiore della Difesa.