Dal sito Ocean4future la seconda parte di una curiosa storia della Seconda Guerra Mondiale dal racconto dell’ Ammiraglio Scialdone, MOVM.
Raggiunta la nostra zona di ricerca ne diamo avviso a MARIEGEO e riprendiamo a pendolare. Non vi è alcuna risposta, ma non la aspettavamo; dopo due giorni riceviamo l’ordine di cambiare zona; dobbiamo trasferirci tra Paro e Nassò. E’ pur sempre un cambiamento e la zona è un pò più riparata, forse si rollerà di meno. I viveri cominciano a scarseggiare ma è inutile dirlo a MARIEGEO, alle domande stupide non risponde. Filando i nostri bravi 8 nodi praticamente ci riposiamo. Durante la seconda notte raggiungiamo la zona assegnata e ricominciamo l’ascolto. Poco dopo le 05.00 del 12 marzo MARIEGEO ci ordina di spostarci nella zona ad Est di Serifo dove è stato avvistato un sommergibile. Ci muoviamo il più rapidamente possibile, per fortuna il tempo è abbastanza buono, un pò di vento da Maestro con cielo chiaro e buona visibilità. Strada facendo penso che deve essere passato abbastanza tempo tra l’avvistamento e l’ordine dato a noi. La visibilità è buona ma per elementare prudenza un sommergibile non viaggia di notte troppo vicino alla costa, quindi quando lo hanno visto doveva essere in emersione, in trasferimento od intento a caricare le batterie, probabilmente le due cose insieme. Nella zona non vi sono rotte d’interesse inglese, ve ne sono invece di interesse italiano: Atene – Rodi, Atene – Lero, Capo Matapan – Lero.
Un MAS della Regia Marina nell’Egeo
L’azione
Il sommergibile è quindi in agguato in attesa del passaggio di qualche nave italiana e, anche al termine della carica, non si allontanerà di molto. Certo non verrà verso levante per non trovarsi impastoiato tra isole ed isolotti e sapendo, come sicuramente sa, che a Syra vi è una piccola base di MAS. La sua posizione è indubbiamente ottima. Può stare all’agguato nascondendosi dietro qualche scoglio o isolotto e nello stesso tempo avere acqua libera verso Creta in caso di complicazioni. Tra una mezz’ora albeggerà, la notte non è stata molto lunga ed è probabile che per completare una buona carica resti in superficie fin quando possibile. Vi è quindi una buona probabilità che da terra sia avvistato di nuovo. Comunque mi conviene passare sotto Sifanto in modo da tagliargli la rotta per Creta e poi ricercarlo con calma su rotte a Nord. L’unico vero guaio sta nel fatto che a 8 nodi arriverò in zona utile tra 4 ore mezza. Certo sono tante. Ma in immersione la sua velocità di crociera è di circa 2 nodi e quindi non potrà andare molto lontano. Ormai questa povera carta nautica a forza di rette e di cerchi per cercare di ridurre la zona di ricerca è ridotta uno straccio ma la zona resta sempre molto, troppo grande. Non posso neppure mettere in vela per correre un pò di più perché il vento non è in favore ed è anche inutile che ogni 5 minuti mi affacci all’osteriggio di macchina, tanto più di questo il vecchio motore non può fare. Quello che invece posso fare per passare il tempo è cercare di mettermi nei panni del comandante del sommergibile per capire cosa starà facendo adesso.
Certo ha chiesto di essere svegliato ad ogni avvistamento o poco prima dell’alba. Adesso quindi si è appena alzato, sale in torretta e guarda fuori. Va tutto bene. C’è già luce ma non troppa. In tutto l’orizzonte non si vede né una nave né una traccia di fumo. Però qualcosa che non va c’è. Fino a ieri il mare era calmo e non c’era un filo di vento. Ma al tramonto si è alzato il maestrale e questo, unito ad una corrente un pò più forte del solito, ha fatto scarrocciare e derivare la sua barca verso Sud. Lo so perché lo ha fatto anche con la mia ed ho dovuto trafficare un pò per mantenermi in posizione. Questa è una seccatura. Immergersi adesso vuol dire perdere due ore, due ore e mezzo per riprendere la posizione di agguato, visto che non c’è nessuno in giro, meglio dare una rapida tirata di una mezz’ora in superficie e riprendere la posizione. In realtà non credo che possa fare altro.
Ed ho ragione. Infatti alle 08.40 intercetto una comunicazione di qualcuno che dice a Syra di aver sicuramente avvistato un sommergibile in superficie alle 07.55. Parla in chiaro quindi è una stazione di vedetta ed è principalmente sulla loro frequenza che stavo facendo l’ascolto nella speranza di avere qualche altra notizia.
L’avvistamento è avvenuto nella Baia di Calabaki. Occorre precisare che il Sant’Antonio gira per l’Egeo con una sola carta nautica, quella del Mediterraneo Orientale, nella quale le isole dell’Egeo sono praticamente segnate con un puntino o poco più e naturalmente la baia in questione non vi è riportata. Vogliamo dire che sono lievemente seccato del contrattempo? Non è così, sono arrabbiato come una belva ferita. Mi precipito in Radio e dico al radiotelegrafista: fai la chiamata di soccorso. Mi guarda a bocca aperta e poi chiede: cosa è successo. Non sono in vena di spiegazioni, gli ripeto fai la chiamata di soccorso ed appena c’è il silenzio Radio chiama Syra e digli in chiaro solo questo: dove diavolo è Calabaki? Passa qualche minuto e senza alcuna chiamata o premessa sento in chiaro una Latitudine ed una Longitudine seguita da un cessato allarme soccorso. Mi precipito a mettere il punto sulla carta e do un respiro di sollievo; le mie elucubrazioni erano esatte. La congiungente i due avvistamenti passa in prossimità della costa di levante di Siufanto e Calabaki è lì, proprio un po’ a sinistra della prua del Sant’Antonio. Ci diamo da fare con la ricerca idrofonica ed alle 09.40 sentiamo il sommergibile. Ora sono calmissimo. Inizio la triangolazione a spezzate fisse ed alle 09.55 è localizzato. Io ho sentito lui e lui ha sentito me, ha seguito le mie manovre ed ora sa che sono un normale peschereccio. Mi accorgo che ha praticamente invertito la rotta ed ora procede per Sud Est.
Inizia una caccia estenuante. Quando siamo fermi con gli idrofoni a mare il sommergibile si allontana. Quando li salpiamo e rimettiamo in moto dirigendo sulla posizione presunta lui contro- manovra e quando reimmergiamo gli idrofoni lo sentiamo da un’altra parte. Ad ogni buon fine getto ogni tanto una bomba regolata a 50 metri dal lato mare della sua rotta cercando così di stringerlo verso la costa riducendo la sua manovrabilità. Io pesco un paio di metri e lui ai periscopi ne pesca più di quindici. Andando sotto costa si troverà ben presto in difficoltà. Le bombe servono solo ad impedirgli di scegliere la rotta del mare aperto perché se riesce ad arrivare in acque profonde non lo prendo più. E’ chiaro che di questo si rende conto anche lui e decide di reagire. Attende che io fermi il motore e mette a tutta forza iniziando l’emersione. Le vedette gridano: scia di prora a dritta. E’ chiaro che ha deciso di accettare lo scontro prima di trovarsi in seria difficoltà. Bene. Come dicono i toreri: è arrivata l’ora della verità. Salgo sul tetto della cabina per vederci meglio.
Il capitano è al timone; gli dico di mettere a tutta forza e raggiungere il sommergibile tenendosi una cinquantina di metri al largo della sua scia. All’equipaggio dico solo: “sbarazza tutto e leva i gavitelli” e loro sanno cosa fare. In un paio di minuti le false murate sono abbattute ed i siluristi al loro posto, le mitragliere smascherate ed i gavitelli rallentatori delle bombe tolti. Cominciano ad affiorare antenne e periscopi. Grido al capitano: barra a dritta, avanti a speronare. Ed il capitano dimentica tutti i dubbi e le lamentele e mette barra. Sulle tramogge ci sono 6 bombe. Dico a poppa: 4 a 50 metri e 2 a25. Ancora qualche istante poi l’urto ed il brusco arresto. Lo abbiamo investito; dico a poppa: fuori tutto ed al capitano: mantieni avanti adagio.
Passano una manciata di eterni secondi. Dalle scosse dello scafo sento che il sommergibile si sta sganciando, poi una serie di scoppi subacquei. Il povero Sant’Antonio fa un balzo fuori acqua e ricade. Il motore singhiozza ma si muove ancora e ci trascina un pò verso terra. Poi si ferma del tutto. Rimango a guardare e vedo venire a galla dei paglioli di legno, poi delle macchie d’olio o nafta. Dopo vi è un sommovimento dell’acqua ed una specie di rigurgito e la nafta sale in gran quantità. Un istante di calma. Mi sono distratto a guardare il capitano gridando qualcosa che mi sembra strano: portate su subito i fiocchi. Ma le vedette non sono distratte, gridano: là, là! Seguo la loro indicazione e vedo affiorare qualcosa di scuro. Emerge sempre di più. Ora è una specie di ovale di color marrone, lungo una ventina di metri ed alto poco più di mezzo metro.
Alcuni anni or sono, nell’Atlantico Meridionale, avevo visto delle balene. Ci somiglia molto. Solo le balene erano di un grigio scuro tendente al viola. Questo è nero e marrone scuro ed è chiaramente di metallo. Resto a lungo a guardarlo. Mi distrae un grido di: Attenti a prua! Guardo a prua e vedo il nostro povero albero di trinchetto che si abbatte in avanti.
Mi dico: Bene, questa è fatta, ora vediamo se riusciamo a cavarcela noi. Scendo in coperta e dico al capitano: ho sentito un rumore, si è rotto qualcosa? Stranamente il capitano, che si lamenta di ogni piccolo graffio fatto alla sua preziosa barca, non sembra affatto turbato da ciò che è accaduto e mi risponde: poca cosa, solo lo scafo, la macchina, il timone e l’alberatura. Gli chiedo se si può fare qualcosa e mi risponde che per ora siamo a galla, poi si vedrà. Vado alla radio e preparo una serie di messaggi che ricalcano ciò che è accaduto. Finora non avevo detto nulla per evitare che mi arrivassero ordini o consigli durante l’azione. Non mi è mai piaciuto essere interrotto mentre sto facendo qualcosa d’importante.
Ora non ho più nulla da fare e vado ad aiutare quelli che stanno sbarazzato e rizzando il trinchetto. Si è rotto a circa due metri dal ponte. Sospendiamo il lavoro perché dal relitto provengono dei rumori ed affiorano delle grandi bolle d’aria; poi inclinandosi un po’ avanti ed un pò indietro pian piano affonda. Riprendiamo il lavoro e cominciano ad arrivare le risposte. La prima dice di mantenere il contatto, la seconda annunzia l’arrivo di due MAS del Pireo. Forse erano in agguato da queste parti. Frattanto il capitano ha fatto passare i due fiocchi sotto lo scafo trincandoli a ferro ed ora l’acqua entra ancora ma molto piano. In macchina si erano tranciati i bulloni che collegano l’asse. Li stanno sostituendo. Per il timone per ora non c’è nulla da fare, si sono scardinati gli agugliotti. Dopo circa un’ora arriva un MAS e mi dice che l‘altro non può venire; sta rientrando alla base per una avaria. Racconto ciò che è accaduto e gli dico che non ho più bisogno di lui, ma insiste per restare con argomenti convincenti: se andiamo a fondo potrà raccogliere i naufraghi. Il Sant’Antonio ha una sola elica e la mancanza del timone è preoccupante.
Se il tratto da fare fosse molto breve con un oculato impiego della marcia avanti e di quella indietro si potrebbe fare qualcosa, ma il primo porticciolo in cui vi è qualche piccola officina che può aiutarci è quello di Serico e ci sono da fare una decina di miglia. Il MAS, se ci rimorchiasse, rovinerebbe i motori ma può aiutarci a tenere la rotta. Alla fine decido di fare da solo. L’albero di maestra è sano, ha un boma per la vela ed un albero di carico per le reti. Il verricello ha al centro il cavo dell’albero di carico ed ai lati due tamburi. A bordo ci sono delle baie. Ho quindi tutto quel che mi occorre. Fisso trasversalmente in maniera rigida il boma e l’albero di carico dopo aver guarnito la penna del boma con una pastecca e relativo cavo. Faccio fare qualche foro sul fondo delle baie per non farle saltellare sull’acqua e le fisso ai due cavi, le metto a mare e le faccio scorrere fino all’altezza della poppa e provo a manovrarle. Da fermo funzionano benissimo. Vedremo come vanno in navigazione.
Quando il motore è pronto metto avanti adagio. Il mio sistema di governo va in tiro. Mi metto al verricello e, con l’aiuto di un marinaio, provo a fare delle lente accostate. Il sistema è un pò faticoso ma funziona. Poiché non vediamo la bussola ci vuole un altro uomo che ci dica cosa fare. Piano piano aumentiamo di velocità ma più di tre nodi non possiamo fare; andando più forte le baie prendono a saltellare fuori d’acqua. Pazienza. In tutto questo tempo il capitano è rimasto a guardare, prima scuotendo la testa, poi interessato e quando siamo definitivamente in rotta mi dice: credevo di sapere tutto sul modo di andare per mare ed invece alla mia età ho ancora da imparare. Sorrido rispondendogli: tu hai navigato molto ma io sono andato molto lontano e viaggiando si impara.
Frattanto MARIEGEO ha dato a noi l’autorizzazione ad andare a Serifo ed al MAS di scortarci. Verso le 4 del pomeriggio siamo davanti al porto di Serifo ed io vado a terra col battello per vedere se possono aiutarci. Non combino gran che, parlano solo greco anche se in Grecia il francese è quasi una lingua nazionale. Si è radunata parecchia gente, l’arrivo di un motopesca danneggiato e con la bandiera italiana è una grossa novità per un paesino che ha pochissimi contatti con il resto del mondo.
Tra gli altri si è avvicinato un signore piuttosto elegante accompagnato da una graziosissima bambina sui 14-15 anni che sembra divertirsi ai miei sforzi per farmi comprendere. L’uomo che è con lei interviene, parla il francese molto meglio di me e sa a chi rivolgersi. La gente lo ascolta con rispetto; poi vedo molte persone darsi da fare attorno ad un piccolo scalo. Lo stanno approntando per mettere a secco il Sant’Antonio. A me spiega che lo scalo è molto piccolo ma domani lo rinforzeranno. Per questa sera tireranno la barca a terra solo in parte, perché non si riempia d’acqua. Per metterlo totalmente a secco ci vorrà tempo perché c’è solo un argano a mano e cavi di sparto non molto robusti. Mentre tutti cominciano a lavorare lui dà altri ordini ed un grosso barcone si affianca al Sant’Antonio e lui mi dice: Ia prego di far sbarcare le armi e quanto vi è di pesante a bordo, occorre alleggerire l’unità quanto possibile altrimenti c’è il pericolo che i parati dello scalo non reggano. Torno a bordo e trasbordiamo sulla chiatta i siluri, le mitragliere, le munizioni, due grossi cavi da rimorchio ed altro materiale pesante. Penso che questo basterà per tirare a terra la prua e domani cercheremo di sbarcare ancora un pò di roba. Frattanto lo scalo è stato approntato, le cime fissate a bordo e l’argano prende a girare. Vedo la prua salire a poco a poco sullo scalo. Poi quel signore dice: per questa sera basta così. Ora siamo tutti molto più tranquilli. Ridiscendo a terra e ringrazio caldamente iI signore pregandolo se non gli è di troppo disturbo, di assistermi anche domani ed i giorni successivi. Risponde cortesemente che lo farà con piacere e mi invita a casa sua. Ha una bella villetta, mi offre qualcosa e parIiamo un poco dei lavori da fare. Mi dice che per le riparazioni allo scafo ed al timone e per una manutenzione generale non c’è da preoccuparsi purché io abbia del catrame e della stoppa per calafatare e della pittura per riverniciare le parti nuove. Gli dico che, tranne il legname, ho tutto quello che occorre. Dopo un po’ di silenzio gli chiedo se vuole dirmi chi è, certo non è uno dei pescatori. Lui sorride un poco e mi dice: sono un pò pescatore perché ho una barca con cui vado a pesca ed un pò contadino perché ho un orto che coltivo. Ma a questo punto interviene la piccola che dice: non gli dia ascolto, papà è tenente colonnello del Genio Navale. Lui sorride e dice ancora: lo ero ma ora la Marina Greca non c’è più ed io sono tornato nella vecchia casa di famiglia. Penso che oggi è proprio il mio giorno fortunato. La settimana successiva la passo praticamente sempre con lui che segue i lavori
Facciamo anche qualche passeggiata nei dintorni ed un giorno mi portano a vedere una vecchia cava abbandonata. E li trovo il modo di risolvere il nostro più grosso problema, quello dell’albero spezzato. si poteva sostituire perché sull’isola non vi era un albero di quella misura ma qui nella cava vi è una vecchia decauville abbandonata. Con qualche rotaia possiamo rappezzarlo. L’idea gli piace e dà subito gli ordini necessari. Dopo nove giorni la barca viene rimessa in mare, è dipinta a nuovo, perfettamente stagna ed ha un trinchetto non bello ma robusto.
Chiedo al colonnello di dirmi quanto debbo per i lavori per comunicarlo al mio comando. Lui però è molto realista. Dice che il denaro greco non serve a nulla e quello italiano certo non arriverà. Se sento il dovere di ricompensare in qualche modo i pescatori che hanno lavorato posso dar loro quello che serve più del pane, qualcosa per riparare le loro barche. Lo dico al capitano che mi risponde solo: sono brava gente. Facciamo sbarcare uno dei cavi da rimorchio, tutto il cordame non indispensabile, la pittura, la stoppa, un barile di olio di macchina e quattro barili di nafta ed altre piccole cose fino a che il colonnello non si intromette per dire: è troppo. I ringraziamenti non finiscono più. Ma a guastare la festa c’è un telegramma da Syra, dice semplicemente “rientrare subito a Syra“. Avevo tenuto il comando informato sull’andamento dei lavori e questa ne è la logica conseguenza. Sono molto arrabbiato con l’Ammiraglio.
In 10 giorni non ci ha detto una parola di conforto, non ci ha chiesto se avevamo bisogno di qualcosa, sa sicuramente che abbiamo finito i viveri ma non si è preso la briga di mandarci qualche provvista. Rispondo: “Difficoltà nelle prove”. Dopo mezz’ora un altro messaggio: “Ti aspetto a pranzo. F.to Biancheri“. Rispondo: “Impossibile previsione partenza“. Altro messaggio: “Se puoi vieni a cena. F.to Gino“. Il colonnello ha seguito divertito lo scambio di messaggi, ed ora interviene dicendomi: Comandante non faccia sciocchezze, parta. Non vorrei dargli ascolto ma so che ha ragione, e mi decido. Saluto e ringrazio il colonnello facendo le solite promesse da marinaio alle quali né io né lui crediamo, abbraccio la piccola e vado a Syra.
Il porto di Syra
Arriviamo verso le 17.30. In porto vi è gran movimento. Sembra che siano in atto i preparativi per una esercitazione di sbarco. Nulla di più facile. Ovunque va l’Ammiraglio fa fare una esercitazione di sbarco. Chissà perché. Voglio fare buona figura e mi ormeggio di punta con una bella manovra.
L’Ammiraglio è già in banchina e sale subito a bordo. Ho fatto schierare i due equipaggi. Li passa in rivista poi mi dice: vatti a cambiare, andiamo a pranzo al Circolo. A Syra vi è anche un Circolo Ufficiali ereditato dalla Marina Greca ed al quale fanno capo gli ufficiali italiani e gli ex ufficiali greci. Vado a cambiarmi e, mentre mi vesto, sento l’Ammiraglio che interroga tutto il personale facendosi raccontare ciò che hanno visto e fatto. Quando mi accorgo che ha finito gli interrogatori esco dalla cabina e lo raggiungo. Appena in auto gli chiedo: adesso è convinto che lo abbiamo veramente affondato? Mi risponde: adesso sì. Poi parla d’altro.
Finiti i vari brindisi mi riaccompagna personalmente a bordo e mi informa che visti i risultati del Sant’Antonio ha dato a Lero l’ordine di modificare un altro peschereccio, ne darà il comando a Zanoni. Gli dico che mi sembra una buona scelta; è un ex ufficiale della marina mercantile ed un buon marinaio. Gli chiedo che ordini ha per me e risponde, nessuno in particolare, resterai a Syra per difendere i canali di accesso all’Egeo. Vorrei dirgli che ho il trinchetto rotto ma sento che è inutile, lo ha certamente già visto. Va bene così. In fondo Syra è molto lontana da Rodi.
Fine Parte II – continua
Antonio Scialdone
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Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.