E poi ci sono loro, le donne mare.
E’ facile riconoscerle: spesso vestite di blu, tengono i capelli sciolti come se soffiasse la brezza mattutina, alzano poco lo sguardo per non confondere il loro colore con quello del cielo, ma qualche volta lo abbracciano ed è in quel momento che si spostano verso l’orizzonte; e alla Luna (pluf!, guardatela: s’è buttata!) poi si confessano spesso, le si raggomitolano intorno e magari piangono, mentre parlano. Ditemi voi quando non piangono, le donne mare, ed hanno paura, quando piangono, paura di diventare troppo grandi, paura d’agitarsi troppo, paura che per questo i bambini dal bagnasciuga s’allontanino, e quei due innamorati non si schizzino più addosso la propria acqua, giocando per poi finire a fare l’amore, nel mare.
E per le donne mare, ogni onda è parte di loro, ogni onda è un bacio che va, un abbraccio che torna, parole raccolte sulla sabbia come conchiglie e messe al collo, intrecciate …nonostante tutto, intrecciate perché son belle, intrecciate chissà perché, intrecciate perché si sente il mare, persino da lì: è per loro sentirsi respirare, è dire “ci sono anche se fa male”, “vado e torno, lasciatemi fare”.
E sono le donne mare quelle non vogliono l’oceano, ad ognuno il proprio sale, le proprie lacrime, a-mare nel loro caso, quasi sempre.
E le donne mare lasciatele:
tre-mare, (mare,mare,mare)
consu-mare,
disar-mare,
cal-mare,
a-mare,
affer-mare,
mi-mare,
e col-mare: perché in fondo non sanno stare senza se stesse, ma rimangono sempre col mare.
Silvana De Angelis