Ancora un interessante argomento di storia dal sito Ocean4future, a cura di Fabio Caffio
Scritto da Fabio Caffio
I coloni spartani, che in un giorno del 706 a.C. presero il mare diretti verso la futura Τάρας conoscevano bene le potenzialità del territorio che andavano a colonizzare. Gli storici greci hanno tramandato varie versioni della decisione che spinse alcuni abitanti di Sparta a fondare la nuova città dopo essere stati messi al bando. Pare che essi fossero implicati in una congiura essendosi ribellati per essere stati privati dei loro diritti quali figli illegittimi nati durante l’assenza dagli Spartani impegnati nelle guerre messeniche, e perciò irrisi come Partheni.
Strabone nella sua Geografia (VI,3,2) ricorda che i cittadini, scoperta la congiura, ordinarono a Falanto che ne era a capo di recarsi “a Delfi per interrogare il dio su di una colonia e il dio vaticinò: “Io ti ho concesso Satyrio, perché tu possa popolare la pingue regione di Taranto e diventare il flagello degli Japigi”. Il passo di Strabone ci illumina sui metodi seguiti dai Greci nella fondazione di una colonia: l’incarico veniva affidato ad un capo della spedizione, nella specie Falanto, il quale si rivolgeva prima della partenza ad un oracolo. È chiaro che l’oracolo, pur essendo una riconosciuta autorità religiosa, non vaticinava a caso la località da colonizzare, ma si rifaceva a tradizioni di viaggio precedenti aggiornate da notizie recenti.
Nave mercantile su mosaico romano , II secolo,
140 × 187 cm. Località: Hadrumetum / Sousse (Tunisia).
Le coste del Golfo di Taranto erano frequentate, sin dal XIII secolo a.C., da popolazioni della Grecia arcaica provenienti in particolare da Creta. Sicché non deve meravigliare che l’odierno Capo Saturo situato a poche miglia da Taranto fosse stato indicato con precisione dalla Pizia, sacerdotessa di Apollo delfico. La località, che ancora oggi ha mantenuto le originarie caratteristiche, aveva infatti due insenature divise da un promontorio, abbondanti sorgenti d’acqua, fertili terreni ed una retrostante zona dove fu poi impiantato una piccola acropoli ed santuario dedicato ad Atena. Soprattutto costituiva una tappa intermedia verso Taranto, la vera destinazione finale la cui occupazione presupponeva però adeguati preparativi per debellare gli Iapigi. Questi, denominati anche Messapi, costituivano l’elemento indigeno già insediato attorno al porto di Taranto, che fu sconfitto quando i coloni spartani si allearono con gli Achei (Strabone, VI, 3,3). La partenza di Falanto e dei Partheni avvenne a detta dei più nel706 A.C.. Altri particolari non ne conosciamo. Possiamo supporre che la spedizione ebbe inizio in un giorno di fine estate quando il clima è ancora buono e da sud-est spirano prevalentemente venti moderati di scirocco, quei venti che nel Golfo di Taranto sono do-minanti e che dal Peloponneso sono in grado di sospingere una nave a vela verso le coste del Salento.
Al tempo le navi da trasporto erano dotate di una vela quadra e potevano raggiungere anche dimensioni di una ventina di metri di lunghezza e 5 di larghezza, con un rapporto di 4 ad 1 (la tipica imbarcazione militare era invece la trireme con una chiglia più slanciata). La velocità poteva essere verosimilmente, con condizioni meteomarine favorevoli, di 4-5 miglia all’ora. La navigazione, come si deduce da alcuni passi dell’Odissea, era prevalentemente costiera per la difficoltà di orientarsi di notte con la posizione di alcune stelle (l’Orsa Maggiore e le Plejadi) e di giorno con il corso del sole se oscurato dalle nubi. Rilevanti erano anche le esigenze di riposarsi e di rifornirsi di acqua e cibo, nonché la necessità di ridossarsi in qualche insenatura in caso di improvviso arrivo di una burrasca.
Se pensiamo oggi ai pescherecci di qualche decina di metri che raggiungono le nostre coste dall’Africa con centinaia di migranti possiamo immaginare quel che avvenne alla partenza della spedizione da Sparta. Una colonia poteva difatti essere fondata solo da un cospicuo numero di uomini e donne pronte ad affrontare assieme sacrifici e conflitti con le popolazioni locali. In un giorno, forse di settembre, in cui le condizioni di mare evento apparivano favorevoli, su una decina di navi ormeggiate nel porto di Gýtheion (che ancora oggi è lo sbocco di Sparta al mare nel Golfo Laconico), dopo aver celebrato un rito propiziatorio in onore di Athena, si imbarcarono un migliaio di partheni spartani.
La carta di Soleto, coccio scoperto il 21 agosto
del 2003 a Soleto (provincia di Lecce), nel corso
di scavi archeologici condotti per conto del
CERCAM (Università di Paul Valàr), da Thierry Van
Compernolle. Si tratta di un ostrakon, ovvero un
frammento di un vaso attico smaltato di nero, sul
quale è incisa la linea costiera della penisola
salentina e tredici toponimi le cui posizioni sono
indicati da punti. Sulla sinistra si legge chiaramente TARAS
Come bene è stato detto, “una piccola flotta di navi da carico a vela con doppie file di remi dové essere allestita per poter imbarcare i rematori, i marinai esperti della navigazione, gli equipaggi formati da uomini armati, nonché le donne e le masserizie” (Presicci, 34). Le navi, superato il Peloponneso, assunsero la rotta di nord-ovest costeggiando la Messenia, e le Isole di Zante, Cefalonia, Itaca e Corfù, per poi dirigere verso la Japigia (forse nei pressi dell’odierna Tricase). Attraversato il Canale d’Otranto la spedizione passò allargo di Capo Japigio (Santa Maria di Leuca) per poi riprendere la rotta verso nord-ovest.
Oramai le navi erano nel Golfo di Taranto e, dopo essersi fermate in qualche altro approdo costiero come quelli odierni di Ugento e Gallipoli, raggiunsero la meta del Promontorio di Saturo. D’altronde la conformazione della costa salentina era ben conosciuta dalle genti greche anche prima dell’avvio della colonizzazione. Non a caso essa è riportata abbastanza fedelmente nella Mappa di Soleto, frammento di un vaso che si ritiene risalga al VI sec. a.C.. Dopo l’insediamento temporaneo a Saturo i coloni spartani (detti Lacédemoni dal nome del mitico re della Laconia fondatore di Sparta) mossero verso il territorio circostante il Mar Grande ed il Mar Piccolo. Alleandosi con gli Achei, riuscirono ad acquisirne il controllo scacciando gli Japigi.
La città prese il nome di Τάρας dal nome dell’eroe, figlio di Poseidone, cui il mito attribuiva la nascita del primitivo insediamento urbano. Nessuno storico ci ha tramandato la memoria dei primi anni, dicerto difficili, dei Partheni, finalmente giunti al compimento della loro impresa. Sappiamo che si stabilirono sulla parte alta dell’isola posta tra i due mari che si prestava ad essere fortificata. Non è certo che si siano dedicati subito alla coltivazione delle fertili zone della campagna tarentina in cui per parecchio tempo vi dovettero essere incursioni degli Japigi. È dunque presumibile che i coloni spartani, per sopravvivere, fecero ricorso al mare da cui erano venuti e su cui ora abitavano, mettendo a frutto le loro qualità di marinai e pescatori.
Erano già marinai e pescatori, non foss’altro perché avevano affrontato con successo una lunga navigazione e perché provenivano da zone vicine al Golfo Laconico dove si praticava la raccolta dei murici. In realtà sarebbe stato difficile per chiunque non approfittare della pesca quasi miracolosa che “ i due mari fornivano ad una gran parte della popolazione. Il Mar Piccolo soprattutto, immensa rete dalla stretta apertura, attira e trattiene, dicono, novantatré specie di pesci… I vasi della regione tarentina rappresentano un’abbondante fauna marina, nella quale si distinguono pesci liscati (persico, sarago, triglia, labro, muggine, scorfano, rana), o cartilaginei (torpedine, razza, … ), molluschi (polpo, seppia, calamaro), crostacei e mitili” (Wuilleumier, 218).
Naturale dunque che Aristotele nella Politica (VI, 5) dica che a Taranto, come a Bisanzio, “vi è assai pescatori”. La città viveva infatti sul mare e tramite il mare teneva rapporti con la madrepatria greca e le vicine colonie di Metaponto, Eraclea e Sibari. Sotto la rocca, dalla parte di Mar Piccolo, vi era una spiaggia con un basso fondale non essendo ancora stata realizzata la colmata fatta dai Bizantini attorno all’anno Mille per allargare l’abitato.
Il luogo era ideale per mettere in secca le barche da pesca. È difficile avere un’idea precisa delle capacità degli antichi marinai tarantini. Un’eco ci giunge tuttavia dalle parole dello storico romano Anneo Floro (Epitome, I, 13) quando dice: “Taranto, fondata dai Lacedemoni, in antico capitale della Calabria, di tutta la Puglia e della Lucania, nobile per grandezza delle mura e del porto e mirabile per la posizione, poiché è posta all’imboccatura del Mar Adriatico veleggia lungo tutto il litorale dell’Istria, dell’Illirico, dell’Epiro, dell’Acaia, dell’Africa, della Sicilia”.
Coppe laconiche decorate con tonni e delfini, VII sec. a.C.
attribuite al “Pittore dei pesci” esposte al Museo
archeologico di Taranto
(da http://archeotaranto.altervista.org/archeota/taras78/laceramica.htm)
Monete tarantine sono state rinvenute in molti porti mediterranei a riprova della vitalità commerciale della locale marineria. Nella monetazione tarantina è peraltro presente a volte, oltre ai classici tipi del cavaliere e del delfino che reca in dorso Falanto, la rappresentazione di una prora, un timone o un’ancora. Anche Appiano (Samn., VII, 1) ricorda come “l’insigne valore dei Tarantini nelle cose navali si prova egregiamente nelle battaglie sostenute coi Romani”.
Con l’occupazione romana del 209 a.C. lo splendore e l’attivismo marittimo della “capitale della Magna Grecia” iniziò a declinare non senza averne dato un’ultima prova nella cosiddetta battaglia di Sapriporto, vale a dire Satyriportum, cioè l’odierno porto di Saturo (Willeumier,158) di cui Tito Livio (Ab Urbe Condita, XXVI, 39) ci ha lasciato questa famosa descrizione: “Verso questa flotta [romana costituita da venti navi, al comando di Quinzio] partita da Reggio si diresse, a Sapriporto, alla distanza di quasi 15 miglia da Taranto, Democrito con egual numero di navi Tarentine. Il [comandante] romano navigava a vela non immaginando di dover combattere (….) ad un certo punto, quasi nello stesso momento, mancò del tutto il vento ed il nemico apparve in vista (…) Raramente due squadre navali si affrontarono con tanta veemenza: i Tarantini (…) sperando di poter togliere [ai Romani] con una battaglia il possesso del mare (…) Le prore delle navi erano strettamente vicine le une alle altre (…) i combattenti passavano da nave a nave(…) Nicone con l’asta infilzò da parte a parte Quinzio (…) La nave ammiraglia romana venne catturata…”.
Didracma di argento con Falanto a cavallo, Taras su delfino,
Image courtesy of Classical Numismatic Group, LLC
La vittoria navale tarantina fu celebrata da un’iscrizione che istituiva una festa annuale celebrativa dedicata agli “dei marini e cavalieri dal Senato e dal popolo di Taranto”; sembra che si fosse anche coniata una moneta di bronzo raffigurante un’ancora racchiusa in una corona d’alloro.
Divenuta colonia romana, Taranto continuò ad essere orientata alle attività marittime grazie alle strutture portuali del Mar Piccolo ed all’abbondanza di pesci e molluschi. Lo sviluppo della vicina Brindisi, divenuta nel frattempo il principale porto romano di collegamento con l’oriente, la confinò tuttavia in un ruolo localistico incentrato sul traffico di cabotaggio
Fabio Caffio
estratto da I Mari di Taranto, Il Golfo, il Mar Grande, il Mar Piccolo, Scorpione Editrice, 2014
Bibliografia
P. WUILLEUMIER, Taranto dalle origini alla conquista romana, Mandese Ed. Taranto, 1987
L. PIERRI, Come fu fondata Taranto, Taranto, 2011
PRESICCI, Falanto e i Parteni, Manduria, 1990, 34
TITO LIVIO, Ab Urbe Condita, XXVI, Utet, 1989
ANNEO FLORO, Epitome
STRABONE, Geografia, Libri V e VI, Milano, 1988
APPIANO, Storia di Roma, De Rebus Samn
APPIANO, Historia Romana (Ῥωμαϊκά), VII e VIII
F. CAFFIO, Gita in Mar Piccolo di citro in citro, Voce del Popolo, 13, 2007
F. CAFFIO, Taranto scomparsa: la spiaggia della “Fontanella” all’imboccatura del Mar Piccolo, Corriere del Giorno, 6, 2011
F. CAFFIO, Ecco com’era via Garibaldi con le sue mura, nel 1890, Corriere del Giorno, 7, 2011
F. CAFFIO, Corsi e ricorsi della molluschicoltura, Corriere del Giorno, 9, 2011
F. CAFFIO, Leonida di Taranto, poeta di marinai e pescatori, Corriere del Giorno, 2, 2012
F. CAFFIO, 150 anni fa nasceva la nuova Taranto: la forma urbis della città nella cartografia coeva, Cenacolo, XXII, 2010, 75
F. CAFFIO, Geopolitica del Grande Salento: perché Taranto non gli appartiene, Corriere del Giorno, 11, 2012
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E’ ufficiale ammiraglio della Marina Militare in congedo, tra i maggiori esperti di diritto internazionale marittimo. Autore di vari articoli in materia, pubblicati su numerosi siti specialistici, ha pubblicato il saggio “Elementi di diritto e geopolitica degli spazi marittimi” scritto in collaborazione con A. Leandro e N. Carnimeo e, il “Glossario del Diritto del Mare” (Rivista Marittima, IV ed., 2016) ancor oggi un riferimento per gli studiosi della materia