Dal titolare della Difesa al capo di Stato Maggiore della Difesa, passando per esperti ed analisti, è allarme sulla situazione di esercito, forze militari, armi, munizioni.
L’Italia non è pronta a una guerra.
Ne è convinto il numero uno della Difesa italiana, Guido Crosetto. Alla domanda di Nicola Porro, conduttore di Quarta Repubblica durante la puntata del 25 marzo: “Siamo a un livello della difesa accettabile dal punto di vista di armamenti, formazione e militari?, è stata la risposta del ministro della Difesa che non ha lasciato spazio a dubbi o interpretazioni: “No”. “Vuole la verità? Secondo me no”, ha ribadito Crosetto.
Il giornalista ha insistito chiedendo se questa affermazione sia “a livello di personale, munizioni, addestramento, cos’è che ci manca?”. “Se avessimo subito un attacco come quello che ha subito l’Ucraina… mi fermo”, ha chiosato Crosetto.
Affermazioni forti da parte del titolare della Difesa del nostro paese che già da tempo solleva la questione della situazione geopolitica internazionale “allarmante” sottolineando che il suo compito – d’altronde – “è preparare il Paese rispetto agli scenari peggiori”.
E se in Europa c’è chi si prepara a un eventuale conflitto con l’economia di guerra (come il nostro vicino d’Oltralpe), in Italia i vertici militari accendono un faro sulle forze armate italiane “assolutamente sottodimensionate” per i tempi che corrono.
BISOGNA ESSERE PRONTI A TUTTO PER IL MINISTRO CROSETTO
“Io preferirei non essere preoccupato ma l’Unione europea e gli Stati devono prefigurare qualunque tipo di scenario”, ha dichiarato oggi il il ministro della Difesa Guido Crosetto a margine della cerimonia per i ‘100+1’ dell’Aeronautica Militare tenuta presso il Nuovo polo concorsuale a Guidonia.
“Penso non succederà nulla di grave, ma dobbiamo prepararci alla possibilità che possano succedere cose gravi, come ci ha insegnato l’Ucraina, magari non direttamente al nostro Paese”, ha aggiunto Crosetto, sottolineando che “l’Italia affronta la sfida del terrorismo da anni in silenzio. Ogni giorno le forze armate e di polizia combattono il terrorismo. Lo Stato c’è sempre, vigile; questo non significa che il pericolo scompaia, significa che i cittadini devono sapere che lo Stato non si accorge del terrorismo solo quando succede qualcosa, come successo in Russia qualche giorno fa”.
“La Difesa è il presupposto fondamentale della democrazia e necessariamente deve parlare anche di cose brutte, perché non esiste la possibilità di difendersi senza armi”, ha poi detto il ministro nel corso della cerimonia. “In un momento drammatico come questo, ci siamo ricordati che la Difesa non poteva essere solo una protezione civile 4.0, il mondo può cambiare e questo è un periodo che nessuno si augurava. Ma noi non abbiamo mai mollato. Molti nostri concittadini si erano dimenticati dell’esistenza di Isis, non noi che la combattiamo in Iraq e in Kuwait. Le provocazioni vanno avanti da oltre due anni ai confini europei. Siamo qui per difendere il Paese, anche quando nessuno si ricorda del pericolo. Il nostro maggior successo è la tranquillità che però richiede impegno costante, sacrificio, preparazione e investimento”.
NO ALLA LEVA OBBLIGATORIA
Allo stesso tempo, il ministro della Difesa ha precisato che nonostante lo scenario attuale “Non si è mai parlato di leva obbligatoria nel Paese”. “Viviamo tempi difficili, in cui semmai c’è bisogno di tanti professionisti. Dobbiamo piuttosto ragionare sul numero di questi”, ha spiegato Crosetto, aggiungendo: “Abbiamo bisogno di professionisti formati, non di cittadini che fanno un anno di leva”.
LO SCENARIO MUTATO DELINEATO DAL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA
Riguardo il nuovo contesto geopolitico, si è espresso proprio ieri anche il capo dello Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, durante un’audizione presso le Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e la Commissione Esteri e Difesa del Senato. “Se mettiamo a sistema la crisi nello stretto di Aden, l’evoluzione dello scenario geopolitico dal Sudan al Sahel, fino all’Africa occidentale e alla regione dei grandi laghi, si vede prendere forma una fascia di instabilità che minaccia l’Europa, in grado di condizionare flussi commerciali, movimenti migratori e approvvigionamenti energetici”, ha spiegato Cavo Dragone. “Gli ultimi sviluppi hanno portato la Nato a rivedere tanto il proprio modello di forze quanto i piani di difesa” ha aggiunto Cavo Dragone.
La complessità dello scenario geopolitico attuale, nonché le minacce alla sicurezza internazionale, sono all’origine del dispiegamento delle Forze armate dell’Italia all’estero. Lo ha detto il capo dello Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, durante un’audizione presso le Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e la Commissione Esteri e Difesa del Senato. “La dimensione operativa è senza precedenti dal dopoguerra: dai Paesi baltici, lungo tutto il fianco est della Nato, dal Medio Oriente al Corno d’Africa, dal Mar Rosso sino al Golfo di Guinea passando per il Sahel”, ha affermato Cavo Dragone illustrando che “In coerenza con la nostra appartenenza al perimetro euro-atlantico, la Difesa assicura un contributo significativo a 9 missioni della Nato, 8 dell’Unione europea e 5 delle Nazioni Unite; 14 iniziative sono invece condotte all’interno di specifiche coalizioni o su base bilaterale”.
FORZE ARMATE INSUFFICIENTI
E non c’è bisogno di ipotizzare lo scenario peggiore di un conflitto in Europa per tracciare un bilancio negativo dello stato delle forze armate tricolori.
Soltanto in base agli attuali impegni della Difesa l’entità delle forze sia insufficiente: “Oggi siamo assolutamente sottodimensionati: 150mila è improponibile, 160mila che è quello che ci è stato approvato è ancora poco e 170mila è il limite della sopravvivenza” ha evidenziato il Capo di Stato maggiore della Difesa. “La legge Di Paola del 2102 avveniva in un contesto diverso, sono cambiati gli impegni e le minacce”.
“Se penso alla situazione mi metto le mani nei capelli. Nell’esercito – ha ricordato ancora Cavo Dragone – abbiamo turni di impiego massacranti. Sono cambiati i tempi, sono cambiate le minacce, e il nostro impegno è sempre più massivo. Vogliamo una difesa europea, e questo ci richiederà tanto. Ho fatto richiesta per avere più uomini. Continuerò a chiederli fino a che non mi cacciano” ha concluso Cavo Dragone.
IN ARRIVO SCONTRO MILITARE IN EUROPA SECONDO MARGELETTI
Anche se, lo scenario peggiore sembra più vicino che mai.
“La mia sensazione, da Presidente del Centro Studi Internazionali, è che avremo uno scontro militare in Europa fra qualche tempo – ha osservato il prof. Andrea Margelletti in un’intervista odierna rilasciata a Policy Maker – I russi non hanno alcun interesse, alcun desiderio, alcuna voglia, di aprire un dialogo politico con l’Occidente, perché, altrimenti, sarebbe semplicissimo: fermi i combattimenti e ti ritiri. Stante che questa cosa non avviene e che i russi continuano a ripetere, come un mantra, che combattono per la denazificazione, la demilitarizzazione dei territori, non c’è alcuno spazio negoziale”, ha proseguito Margelletti.
NECESSARIO UN COMMISSARIO UE PER LA DIFESA
E alla luce di questo scenario, “credo che – ha spiegato il presidente del Cesi – l’Europa dovrà fare molto di più per occuparsi della propria difesa. Il che vuol dire apporti bilaterali o multilaterali tra i vari strati. L’esercito europeo, le forze armate europee prevedono che ci sia una governance europea. Ma senza un Presidente europeo, senza un ministro degli esteri europeo, di un ministro della difesa europea, di quale governance parliamo? Inoltre, credo che dovremmo fare una serissima riflessione e riconoscere che sia il momento di istituire, all’interno della Commissione europea, la figura di Commissario alla difesa. In questo modo inizieremmo in maniera reale a sincronizzare gli sforzi nella difesa e nell’industria della difesa perché ne abbiamo bisogno”.
È IL MOMENTO DI PREPARARSI
Per il professor Margelletti infatti non c’è alcun dubbio: “Noi andiamo alla guerra, questa è la mia sensazione. E non perché lo vogliamo” ha spiegato a PolicyMaker, “ma perché pare che sia inevitabile dagli atteggiamenti dei russi. Mi preoccupa molto, invece, quando io sento dire non è il momento di parlare di guerra. Questo vuol dire che noi non siamo preparati psicologicamente e strutturalmente a un eventuale conflitto. Si ricordi che ieri il ministro della difesa Crosetto ha detto che noi non siamo preparati. Il fatto che noi non siamo preparati vuol dire che noi ci dobbiamo preparare. Il primo passo per risolvere un problema è riconoscerne l’esistenza” ha concluso il presidente del Centro Studi Internazionali.
UNA NUOVA FASE STORICA
Tuttavia, secondo Germano Dottori, analista geopolitico e consigliere scientifico di Limes, “di tutte le amministrazioni statali italiane, la Difesa è quella che sembra avere la percezione più chiara del cambiamento in atto in questa fase storica. Per quanto il personale della Farnesina segua con grande attenzione quanto capita nel mondo, i militari hanno infatti colto per primi alcuni tratti essenziali del mutamento in corso”, ha scritto sull’ultimo numero della rivista diretta da Lucio Caracciolo.
“Proprio per questo sarebbe stato necessario equipaggiarsi in anticipo, con l’obiettivo di consegnare alla nazione uno strumento militare tendenzialmente in grado di affrontare da solo o con qualche alleato regionale ogni genere di crisi al di sotto dello scenario della guerra mondiale tra superpotenze, ovvero quello descritto dall’articolo 5 del Patto Atlantico relativo alla mutua difesa collettiva” prosegue Dottori, ammettendo: “Certo, i soldi sono pochi e basso è ancora il consenso nei confronti dell’incremento delle spese militari italiane”.
“Ma non è solo questione d’armamenti. I conflitti in cui si sta articolando la Guerra Grande stanno facendo giustizia di un’illusione in cui a lungo ci eravamo cullati dopo la fine della guerra fredda. Il combattimento contemporaneo consuma elevati quantitativi di munizioni e richiede quantità di effettivi incompatibili con i modelli di difesa di cui ci siamo dotati progressivamente dopo il crollo del Muro di Berlino”, ha aggiunto l’esperto su Limes.
“CAMBIARE MENTALITÀ”
“In ogni caso, si naviga avendo sulla linea dell’orizzonte degli obiettivi non immediatamente raggiungibili. La traduzione della pianificazione militare in autentiche capacità aggiuntive richiede infatti un lungo periodo di tempo, circostanza che sfugge alla gran parte dei non addetti ai lavori. Lo strumento che abbiamo è stato immaginato dieci-quindici anni fa, e oggi stiamo costruendo il percorso che definirà le Forze armate degli anni Trenta e Quaranta di questo secolo” prosegue Dottori.
“Cambiare la mentalità di un sistema e la cultura politico-strategica del nostro paese, infine, sarà un processo ancora più lungo, complesso e incerto, a meno che non si verifichi un grosso shock. Specialmente per noi italiani, tra i quali è già affiorata la tentazione di trasferire al più presto la delega a proteggerci esercitata dagli Stati Uniti, che non vogliono più assumersi questa responsabilità, a un’Europa nella quale sarà difficile trovare interlocutori più sensibili di noi alla salvaguardia dei nostri interessi nazionali”, ha concluso il consigliere scientifico di Limes.