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Fabrizio Peronaci intervista Marisa Cervia

1 Maggio 2013

———- dal gruppo Fb “Giornalismo Investigativo” ——–

INFORMAZIONE E MISTERI DI STATO, PARLA MARISA CERVIA. “LA CENSURA E’ QUASI TOTALE, ANCHE LE IENE CI SONO CASCATE. NOSTALGIA DI DONATELLA RAFFAI”

La moglie di Davide, sequestrato nel 1990: “In Italia informazione ipocrita e servile. L’attuale Rai non è servizio pubblico. Per noi familiari è terribile vedere che i media, su ordine di chi comanda, decidono quali storie far conoscere e quali no”

Peronaci Cervia

La recente condanna del ministero della Difesa per aver violato “il diritto alla verità” della famiglia di Davide Cervia, l’esperto in Guerre elettroniche rapito nel 1990 a Velletri, ha rafforzato lo scenario più inquietante: quello del sequestro di persona nell’ambito dello sporco traffico di uomini e armi, con la copertura di spezzoni dei servizi segreti, al tempo della prima guerra del Golfo.
Si tratta di una novità importante, su uno dei cold case più famosi e sconvolgenti, ma pochi ne hanno parlato. Marisa Gentile, la moglie di Davide, da sempre impegnata in una battaglia difficile e rischiosa contro silenzi e reticenze di Stato, di ciò è rimasta profondamente delusa. “La notizia della condanna del ministero della Difesa è stata completamente ignorata da parte di quasi tutti i mass media. Una vera vergogna!”, è stata la reazione a caldo.
Adesso questa italiana coraggiosa e per bene, che da tempo partecipa a incontri nelle scuole per regalare memoria e passione civile ai ragazzi, racconta tutti i retroscena del suo rapporto con il mondo dell’informazione. Un rapporto tormentato. Specchio, per tantissimi versi, della oscura vicenda che ha travolto la sua vita.

Marisa, da quel maledetto 12 settembre 1990 in cui Davide fu caricato in auto e portato via da misteriosi personaggi non hai mai smesso di cercare verità e giustizia. In questi 28 anni, dal tuo tragico punto di osservazione, ti sei trovata a fare i conti non soltanto con le reticenze di Stato ma anche con quelle del mondo dell’informazione, che dovrebbe essere pilastro di una democrazia. Qual è il tuo giudizio sui media?
“Ho sempre pensato che il ruolo dell’informazione fosse di estrema importanza in un paese democratico; così almeno credevo fino a qualche anno fa. Ricordo i primi tempi, subito dopo il sequestro di Davide, quando una piccola parte della stampa ci seguiva e ci sosteneva. Non posso dimenticare il ruolo importantissimo in questa vicenda avuto dal programma televisivo ‘Chi l’ha visto?’, sotto la conduzione di Donatella Raffai. A quell’epoca quel tipo di trasmissione svolgeva il cosiddetto ruolo di servizio pubblico e dava voce a chi non l’aveva. Sostenevano le persone che vi si rivolgevano e ti aiutavano ad arrivare dove da soli non si poteva arrivare”.

Ne parli come un modello del passato, ormai tramontato…
“Era un giornalismo di inchiesta che oggi non esiste più, o quasi. Ricordo che erano talmente impegnati nelle nostre indagini che la Raffai e il direttore del programma furono chiamati dal magistrato inquirente per sapere i motivi che li spingevano a darsi tanto da fare, episodio che segnò la fine dell’interessamento costante del programma alla nostra storia. Ma ancora stiamo parlando di anni in cui il giornalismo aveva la sua autonomia e indipendenza. Ci sono stati anche altri giornalisti che hanno addirittura rischiato del loro per parlare di questo caso, vedi Gianluca Cicinelli che ha subito una decina di processi, tutti vinti per fortuna”.

Pochi cronisti coraggiosi e il deserto attorno. La tua sensazione è questa?
“Certo, purtroppo è così. Ci siamo resi conto quasi subito che la stampa su questa storia aveva non ben identificati impedimenti o tentennamenti. Ogni volta che sollecitavamo qualche articolo, in seguito a un evento o a un nuovo elemento di indagine, i giornalisti contattati trovavano qualche scusa. Ti faccio l’esempio del programma ‘Le iene’: qualche anno fa ci contattarono. Era tutto pronto; ricordo che eravamo intorno al 20-22 dicembre di 5-6 anni fa, quando il redattore del servizio mi chiamò e mi disse che per il momento saltava tutto perché impegnati in altre storie. In quell’occasione capii inequivocabilmente che qualcosa e qualcuno erano intervenuti a bloccare il servizio-inchiesta. Purtroppo non è l’unico episodio: te ne potrei raccontare decine”.

Hai avvertito da parte di qualche testata o collega diffidenza nei vostri confronti?
“Non ho mai avvertito diffidenza da parte dei giornalisti con cui siamo entrati in contatto, anzi, ogni volta che qualcuno di loro approfondiva la storia ne rimaneva coinvolto anche personalmente di fronte a tante bugie e alle numerose prove sulle responsabilità istituzionali. Piuttosto avvertivo che, nonostante l’impegno del giornalista in questione, interveniva sempre qualcosa a limitarne l’espressione. Ricordo che ci sono stati dei giornalisti che, all’epoca della nostra occupazione pacifica del ministero della Difesa e dello Stato Maggiore della Marina per ottenere i documenti matricolari di Davide, furono minacciati e diffidati dal raccontare quel che era accaduto, pena la fine della loro carriera giornalistica. Queste informazioni confidenziali mi è capitato più di una volta di doverle ascoltare, purtroppo…”

Non ti pare di essere troppo pessimista?
“No, perché parto da un presupposto basilare. Ritengo che un Paese possa dichiararsi democratico se il ruolo dell’informazione viene svolto in autonomia e indipendenza, in cui i cittadini non vengono presi in giro con notizie perlopiù pilotate. Purtroppo oggi l’informazione è ipocrita e servile, sempre prona di fronte ai poteri che la comandano”.

Hai parlato del servizio pubblico di tre decenni fa, elogiando la Raffai. E oggi come sono cambiate le cose?
“Sono molto indignata, come cittadina costretta a pagare il canone, per come si comporta la Rai: un servizio pubblico che di servizio e di pubblico ha veramente ben poco”.

Che voto dai al grado di libertà dell’informazione italiana?
“Il mio giudizio sulla libertà di stampa nel nostro paese è completamente negativo e non mi baso solo su come hanno trattato la nostra vicenda, ma mi riferisco a tutte quelle situazioni per le quali il potere interviene con arroganza e prepotenza e la stampa, che dovrebbe essere il cane da guardia della democrazia, fa finta che sia normale. Non per niente mi sembra che siamo al 77° posto nel mondo per la libertà di stampa. In altri paesi come Francia, Germania o Inghilterra, una sentenza come quella dell’altro giorno avrebbe comportato le dimissioni del ministro della Difesa. Nel nostro Paese al contrario hanno preferito oscurare la notizia, con la totale complicità della stampa. Ripeto: al di là di poche e lodevoli eccezioni, non mi sono mai sentita sostenuta dai mass media i quali hanno sempre snobbato la nostra vicenda, nonostante noi cercassimo disperatamente di far capire quanto tremenda e seria fosse la storia di cui cercavamo la verità”.

Torniamo alla notizia della condanna del ministero della Difesa: da anni la attendevi con speranza, fiducia…
“E’ logico, eravamo noi da una parte e lo Stato dall’altra. Credevamo di aver raggiunto un traguardo quasi impossibile da immaginare e pensavamo che questa notizia fosse il grimaldello per scardinare il muro di omertà e di silenzio eretto intorno alla nostra storia. Ci siamo resi conto invece che anche questa notizia è servita a ben poco, almeno sul piano della comunicazione. E’ evidente che un caso esiste quando l’informazione ne parla, e non esiste quando viene ignorato”.

Dolore, vergogna, rabbia?
“E’ cocente per noi familiari delle vittime prendere consapevolezza che l’informazione decide quali storie far conoscere e quali far ignorare. In questi giorni abbiamo visto una grande mobilitazione per il caso di Giulio Regeni, la politica e l’informazione hanno riempito i media di notizie e di parole di sensibilizzazione e, naturalmente, l’opinione pubblica ha risposto positivamente. Perché il problema è proprio quello: non vogliono che la gente sappia l’orrore che hanno fatto a Davide, cittadino di questo paese, venduto come un pezzo di ricambio insieme a sistemi d’arma sofisticatissimi. La gente potrebbe indignarsi e decidere di chiedere la verità insieme a noi anche su questo caso, come quello di Regeni. E allora, lo Stato che fa? Censura”.

Perché in Italia possono accadere fatti come quello di Davide? Quali anticorpi mancano al nostro Paese?
“Ci ho riflettuto spesso. Ritengo che il motivo principale sia questo: noi cittadini siamo troppo permissivi nei confronti di una politica e di una informazione che troppo spesso ci prendono in giro. Noi non ci arrabbiamo quando un politico mente e poi non succede niente, continuiamo a votarlo e la stampa, il cui ruolo sarebbe quello di fargli le pulci, è troppo spesso benevola e compiacente. I cittadini di un paese normale avrebbero permesso che lo Stato scendesse a patti con la mafia?”

Marisa, siamo al termine di questa bella e intensa conversazione, di cui ti ringrazio. Restiamo ai tempi attuali. Spesso ho notato che ti affidi al web per dare notizie: non temi che possa essere un’arma a doppio taglia, vista l’invadenza delle cosiddette fake news?
“Oggi le fake news sembrano essere diventate il problema più importante per il nostro processo democratico. In realtà io sono convinta che i mezzi per bloccare contenuti diffamatori o perseguibili di reato sulla rete esistano già e quindi ritengo che questa impellente necessità di fermare le ‘bufale’ nasconda in realtà una volontà da parte del potere politico di bloccare tutte le voci libere che popolano la Rete. Mi sembra di capire che oggi chi detiene il potere non gradisca che vengano diffuse informazioni contrarie al pensiero unico e temono che la libera informazione possa smuovere le coscienze. Anche la nostra vicenda ha trovato riscontro e sostegno esclusivamente nella Rete. E’ l’unico modo che abbiamo di far conoscere la nostra storia all’opinione pubblica”. (fp)

FONTE: Logo Fabrizio Peronaci

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