Negli Anni Trenta le navi italiane promossero un’ampia campagna silenziosa di trasporto degli ebrei in fuga dalle persecuzioni verso gli Stati Uniti
Le navi da trasporto italiane ebbero un ruolo decisivo nell’emigrazione di decine di migliaia di ebrei all’ombra delle leggi razziali tra il 1938 e l’entrata in guerra di Roma, nel 1940. La storia dimenticata a lungo e studiata in queste settimane dalla Fondazione Fincantieri rappresenta una pagina dimenticata della lunga tradizione navale italiana che ha come protagonisti i transatlantici tricolori che negli Anni Trenta rappresentavano eccellenze industriali e tecnologiche del nostro Paese. E rappresentarono un ormeggio sicuro per migliaia di ebrei in fuga tanto dalle leggi razziali italiane che dall’avanzata dei domini della Germania nazista, alleata del regime di Benito Mussolini.
Tra questi il Rex, importante nave che era risultato vincitore della gara per l’attraversamento atlantico del 1933, il cosiddetto Nastro Azzurro, e che trasportò oltre 30mila ebrei, secondo alcune fonti fino a 50mila, negli Stati Uniti. “Capitale” dell’esodo degli ebrei provenienti da tutta Europa era Genova, ove giungevano gli ebrei provenienti dall’Austria occupata dalla Germania e dagli altri Paesi su cui era caduta l’ombra del nazismo, che nei mesi tra lo scoppio della Seconda guerra mondiale nel 1939 e l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940 passavano da Trieste.
Molti di questi cittadini ebrei erano provenienti dalla stessa Germania. Nei gangli delle leggi razziali poterono muoversi e arrivare a Genova o Trieste, in un contesto che vedeva il Rex, costruito nello stabilimento ligure di Sestri Ponente, adattato a nave da trasporto dotato anche di organi per la cucina adatta ai riti giudaici e alla preparazione di cibo kosher.
Un’altra nave operativa in questa tratta fu il Conte di Savoia, che intensificò le tratte tra il 1939 e il 1940. Costruito a Trieste, beneficiò del lassismo del fascismo nell’applicare strettamente le regole antiebraiche sulle navi transatlantiche che si muovevano da e verso gli Stati Uniti, complice la necessità di non dannegiare economicamente il sistema di trasporto.
Il 18 marzo 1937 il rabbino americano Max Green si imbarcò addirittura come membro dell’equipaggio del Rex, garantendo la continuità dell’assistenza religiosa ai passeggeri ebrei. Francesco Tarabotto, comandante fino al 1937, e Attilio Frugone, al comando della nave fino all’inizio della guerra, garantirono la continuità dell’assistenza in nome della sacralità delle leggi del mare, ai “fuggiaschi per fato”, moderni Enea in fuga dalla patria metaforicamente in fiamme e diventata inospitale, all’ombra dell’Europa totalitaria. Alcuni passaggi permisero al Rex e al Conte di Savoia di imbarcare profughi anche Cannes, città della Francia mediterrnea il cui porto era una delle tappe in cui la Società Italia di navigazione faceva sostare le navi transatlantiche.
L’eccellenza industriale nella costruzione di navi è stata ereditata in questi decenni dai Cantieri Riuniti e dalla Società Italia alla moderna Fincantieri; il ricordo storico del ruolo, silenzioso, dei bastimenti italiani nel salvataggio degli ebrei in fuga dalla persecuzione che arrivò a coinvolgere il nostro Paese si è però perso ed è doveroso ricordarlo e valorizzarlo. Una tradizione, quella del salvataggio degli ultimi da parte delle navi italiane, che decenni dopo ebbe una replica con la missione di salvataggio dei boat people vietnamiti nel 1979 ad opera degli incrociatori Vittorio Veneto e Andrea Doria e della nave appoggio Stromboli, che navigando per oltre 3mila chilometri portarono in salvo oltre 900 persone. Un tributo silenzioso al legame di valore e identità tra il nostro Paese e il mare. Forza unificatrice tra i popoli anche nelle fasi più convulse della Storia.