Storia navale dal sito Ocean4future a cura di Andrea Mucedola
In un precedente articolo abbiamo raccontato la storia di un gruppo di sommergibili tedeschi dislocati di fronte alle coste americane alla fine della seconda guerra mondiale, ed accennato la storia dell’affondamento del PE-56. Oggi raccontiamo la ricerca del relitto ed il suo recente ritrovamento.
L’USS Eagle
Questa nave minore della Marina statunitense (USN) fu completata nell’ottobre 1919 e designata, il 17 luglio 1920, pattugliatore caccia sommergibili USS PE-56.
Durante la seconda guerra mondiale, l’unità lavorò principalmente in supporto alla flotta e, il 28 febbraio 1942, l‘USS Eagle PE-56 raccolse i naufraghi dell’USS Jacob Jones (DD 130) che era stato affondato dall’U-578 (Rehwinkel) al largo di Cape May.
Il suo affondamento
Come abbiamo accennato in un articolo precedente, nel 1945, nove sommergibili tedeschi, appartenenti al Gruppe Seewolf, furono dislocati nelle acque statunitensi con il compito di attaccare il traffico mercantile. La loro presenza preoccupò fortemente la Marina americana, anche a causa di notizie parzialmente vere, di una loro dotazione missilistica (con i V-2) intesa ad attaccare il territorio americano. Fu un’abile campagna di disinformazione che comportò la creazione nell’abito della USN di due task force (Barrier Force), ciascuna composta da due portaerei ed oltre venti cacciatorpediniere di scorta per la caccia ai battelli subacquei tedeschi. Il possesso di un’apparecchiatura cifrante ENIGMA permise all’intelligence ed agli analisti operativi della decima flotta statunitense di tracciare i movimenti del Gruppe Seewolf attraverso l’oceano Atlantico, facilitati dalla possibilità di intercettare e di comprendere i messaggi quasi contemporaneamente alla loro trasmissione.
Ciononostante i sommergibili tedeschi, che erano all’oscuro di questa capacità alleata, furono comunque in grado di colpire molte unità nemiche. Oggi raccontiamo la storia dell’ultima missione dell‘USS Eagle PE-56, che il 23 aprile 1945, mentre era in supporto a delle esercitazioni dell’aviazione di Marina al largo di Portland, Maine, fu silurato da un sommergibile tedesco.
Il sommergibile tedesco U 583 che presumibilmente affondò l’USS Eagle – P 56
Intorno a mezzogiorno, la piccola unità fu sconvolta da un’esplosione a mezza nave ed in breve tempo i resti del pattugliatore affondarono, portando con se molti membri dell’equipaggio. I pochi naufraghi si resero subito conto che vi erano solo 13 sopravvissuti. Nell’inchiesta della USN, cinque di essi affermarono di aver visto in lontananza la torretta di un sommergibile con un emblema rosso e giallo. La USN non accettò però l’ipotesi di un siluramento dell’unità e concluse che si era trattato di un’esplosione accidentale di una caldaia.
La ricerca del PE 56
Paul Lawton, un avvocato appassionato di subacquea e storia navale di Boston, scoprì che in quel periodo un sommergibile tedesco, l’U-853, si trovava nelle acque del Maine e, caso curioso, il suo emblema dipinto sulla torretta era proprio di colore rosso e giallo, cosa che confermava la testimonianza dei sopravvissuti, avvalorando l’ipotesi dell’affondamento a causa di un siluro tedesco. Nel 2000, Paul Lawton contattò Garry Kozak, uno specialista nella ricerca sottomarina, per ricercare i resti del PE-56 e nell’estate fu effettuata una prima ricerca nell’area stimata dell’affondamento, utilizzando un moderno sonar a scansione laterale.
Kozak e Lawton analizzano l’area di presunto affondamento
Sebbene la ricerca non ebbe successo, la USN annullò le conclusioni della commissione di inchiesta (scoppio di una caldaia), in attesa di determinare quali potessero essere state le cause dell’affondamento del PE-56. Di fatto Kozak non si diede per vinto e, nei successivi sei anni, continuò le sue ricerche, scoprendo altri relitti ma nessuna traccia del pattugliatore.
Valutazioni delle aree di incertezza. Immagine per gentile concessione di Garry Kozak
Il mistero si infittì
Come era possibile? Un bel rebus da risolvere considerando che nella documentazione dell’inchiesta era stata stabilita con una certa precisione la posizione dell’evento. Tra l’altro, i dati di posizione erano stati validati da due stazioni a terra, che avevano fornito distanze e rilevamenti molto vicini, e da tre navi che avevano osservato l’esplosione della nave e ne avevano stimato il punto di inabissamento. L’area di incertezza intorno alla posizione stimata doveva essere quindi limitata e, anche considerando eventuali errori di misura, si sarebbe attestata intorno alle 37 miglia quadrate. Kozak, si rese presto conto che l’area non poteva essere così ampia e che qualcosa era andato storto .durante i passaggi con il sonar. Potevano quindi esserci semplicemente passati sopra senza vederlo, in quanto nascosto tra le ombre acustiche del fondale. Iniziò così un’analisi geologica attenta del fondale che presentava numerose asperità legate a massicci affioramenti rocciosi che potevano aver facilmente mascherato il relitto.
La complessa situazione geologica del fondale presentava numerose asperità
Il 5 maggio 2011, riesaminando i dati sonar, i ricercatori si accorsero che vi era un possibile oggetto in prossimità di alcuni grandi affioramenti rocciosi. C’era necessità di effettuare delle verifiche ottiche. Nel giugno del 2018 un gruppo di subacquei tecnici locali contattarono Kozak e chiesero di immergersi sull’oggetto che era stato notato nella sua rianalisi dei dati del sonar del 2011. I subacquei effettuarono l’immersione alla profondità di 82 metri e confermarono che si trattava della prua del PE-56. A breve distanza, a NE, si stendevano i resti della sezione di poppa della nave.
La scoperta del relitto
Dopo quasi settantanta anni questo cold case era stato finalmente svelato e l’esatta posizione del PE-56 e del suo equipaggio era finalmente nota, per ironia della storia, solo a circa 600 metri dalla posizione ufficiale stimata inizialmente dalla Marina.
Mappa sonar che mostra immagini sonar a 600 kHz di prua, della poppa e delle due caldaie
Le ricerche continuarono e il sito fu riesaminato il 27 luglio 2019 con un sonar a scansione laterale ad alta risoluzione, EdgeTech da 600 kHz, che fornì immagini sonar più chiare della prua e della poppa, comprese le sue due caldaie, che risultarono poi entrambe intatte. Un’informazione importante che confermò definitivamente che l’evento non era stato causato dall’esplosione di una delle due caldaie, come inizialmente concluso dalla prima inchiesta della USN, ed avvalorò l’ipotesi che l’affondamento fosse stato causato da un siluro tedesco. Si chiuse così uno dei tanti cold case dei drammi del mare.
Oggi una targa commemorativa della perdita del PE-56 e del suo equipaggio è in mostra a Fort Williams Park, Cape Elizabeth, nel Maine. Riposino in pace.
Andrea Mucedola
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Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.